domenica 18 dicembre 2016

Il genio, l’architetto e il senso del non

Questo itinerario, o passeggiata, o racconto, è pronto da molti anni.
Forse addirittura
dall'anno dei miei esami di maturità, quando una tesina sulle piazze, i palazzi e le fontane di Roma mi portò a guardare meglio e con la dovuta attenzione i capolavori barocchi sparsi per le strade della mia città. 
(Alessandro Borgogno, Il Genio e l’Architetto)


La Roma degli anni ottanta che faceva capolino dalle parole e dagli schizzi di un ragazzo che ne percorreva le strade e le piazze con un blocco da disegno e un’idea in testa, doveva sembrare gloriosa e degna di essere celebrata. 
Il genio e l'architetto - Alessandro Borgogno, L'erudita
Il Genio e l'Architetto

Di acqua sotto i ponti (e per le fontane di Roma) ne è passata parecchia nel frattempo ma il ragazzo percorre ancora su e giù le strade strette, i colli, i vicoli, le torri della sua città, e forse deve sembrargli che non sta invecchiando bene, che è un po’ appannata, come gli schizzi conservati nel suo quaderno da disegno, eppure l’amore che li lega è ancora intatto e conserva tutta la purezza di quegli anni.

Questo libro è dunque prima di tutto una dichiarazione d’amore. Anzi più di una: per Roma e per l’Arte.

Perché il ragazzo con il quaderno da disegno scopre un giorno che le strade possono essere digitali, scopre la bellezza nell’ipertesto e poggia, per un attimo, la matita. E allora davvero la passione resta racchiusa nel pulviscolo di un’aula di un liceo che non esiste più, ammantata dall'incanto del ricordo. Finché un giorno, il ragazzo con il quaderno da disegno, si sveglia uomo al tempo del “non”.
Palazzo Barberini
Palazzo Barberini

Questo tempo, il tempo del non, è segnato da confini sfumati in cui esistono non mamme o non mariti,  in cui il non è diventato accezione positiva (non contiene olio di palma), in cui è necessario soprattutto rassegnarsi ai non ruoli. È un nuovo mondo mediceo, un nuovo rinascimento in cui la storia dell’arte la riscrivono gli informatici e l’informatica la riscrivono gli studenti di storia dell’arte, perché gli schizzi sui loro quaderni  sono il filo di Arianna che li guida nei nuovi labirinti.


E allora incontriamo, riaffiorate nelle parole di questo libro, la Fontana del Tritone, un busto di una bellezza scultorea, sul quale scorre prepotente e continua l’acqua di Roma, quella che arriva dagli acquedotti e sgorga al centro della città attraverso le mille aperture che mille scultori, e lui più di ogni altro, le hanno modellato attorno; la Fontana delle Api, piccolo gioiello di misura e fantasia, enorme conchiglia aperta all'interno della quale si raccoglie l’acqua, e sul suo bordo sono ad abbeverarsi delle api, simbolo ricorrente della famiglia Barberini; l' Estasi di Santa Teresa, scultura magnificamente complessa che si fonde con la scenografia e con le forme architettoniche delle volte e delle lanterne da dove la luce dorata entra a trafiggere e a sceneggiare in eterno l’irruzione dell’illuminazione divina; Sant’Andrea delle Fratte, che si innalza schiudendosi e richiudendosi come una enorme pianta carnivora che abbia appena ghermito un insetto; Sant’Ivo alla Sapienza, che si attorciglia nel cielo in una spirale destinata a non chiudersi mai; e poi ancora Apollo e Dafne,  San Carlo alle Quattro fontane, Sant’Andrea al Quirinale, Palazzo Montecitorio, L'Oratorio dei Filippini, L'Elefante Obeliscoforo, La Basilica di San Giovanni in Laterano, Piazza San Pietro, La Galleria prospettica di Palazzo Spada, San Giovanni Battista dei fiorentini, Santa Maria Maggiore…
Fontana del Tritone
Fontana del Tritone

Bernini, scrive l’autore, è prima di tutto uno scultore e Borromini è prima di tutto uno scenografo” ed è probabilmente per questo che continuano ad essere i protagonisti immortali di questa Roma Barocca.

I puristi della cultura potrebbero non essere d’accordo ma in fin dei conti direste che la Cappella Sistina era meglio che la dipingesse un pittore e non uno scultore? ;-)
Fontana dei Fiumi - Piazza Navona
Fontana dei Fiumi - Piazza Navona



Il genio e l'architetto è su Amazon e IBS


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giovedì 20 ottobre 2016

Letteratura, leggera come la neve

La fortuna può premiare un testo mediocre (e punirne uno meritevole),
ma raramente premia un testo proprio pessimo.
Scrivere bene una storia interessante è il buon modo per cominciare. 

(Annamaria Testa)


Leggera come la neve - Mattia Sablone
In questi giorni si è molto parlato del Nobel per la letteratura, di coincidenze, di autori “pop”. Sulla faccenda nulla ho da aggiungere a quanto già detto da Michele Serra su Repubblica: “l’arte della parola, a dispetto di ogni crisi, di ogni slittamento del senso comune, di ogni mutazione tecnologica, dispone ancora di una potenza infinita. Chi ci parla – se è capace di parlarci bene – diventa una parte di noi.”

Nella sere seguenti ho partecipato alla presentazione di un libro in uno dei caffè letterari più “pop” di Roma: Mangiaparole. Il titolo è “Leggera come la neve” e Mattia Sablone lo ha scritto nell'estate dei suoi 14 anni.

Mi perdo nelle intersezioni e nel suono di questa parola, leggera: una musica Leggera che diventa letteratura, Leggera come la neve…

Nello spazio affollato di Mangiaparole, alla domanda sulla genesi del racconto, l’autore (e qui mi verrebbe da dire con la leggerezza e la spontaneità dei suoi pochi anni;-)) ha risposto: “ero sul letto che non facevo nulla come al solito e la prima cosa che ho pensato è stata la fine della storia”. Da lì tutto è cominciato.

Per la protagonista, Emily, si è ispirato alla sua amica Elena, che ha anche disegnato la copertina, e alle sue giacche verdi: “perché volevo mettere nel libro le giacche verdi.”

Libro difficile da incastrare in un vero e proprio genere, è un po’ fantasy, un po’ thriller, c’è qualche coup de theatre, molto sense of humor, la scuola, l’amicizia, l’amore, la vita, il dolore, la perdita. C’è un aquilone azzurro e un accappatoio blu

E se i colori nel testo hanno un senso, forse è proprio questo: ci vuole uno sfondo lieve per riuscire a cogliere un’umanità sorprendente e colorata.

Il secondo libro, iniziato una settimana dopo aver finito il primo, “sta andando un po’ a rilento, tra la scuola e la vita…” 

Esco sorridendo dalla libreria e mi ritrovo a pensare che ha ragione Mattia: bisognerebbe sempre partire dalla fine. :-)

P.S. Una delle definizioni più belle che ho letto ultimamente a proposito di letteratura le ha scritte su FB Christian Delorenzo.



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mercoledì 21 settembre 2016

Il giardino risorto

Gironzolando nelle placide strade della Charente mi sono imbattuta quest’estate in uno di quei Jardin Remarquables che a una prima occhiata può sembrare il solito parco ben conservato di uno dei tanti castelli di Francia: topiaria, aiuole fiorite, fontane monumentali, specchi d’acqua, inevitabili cigni. 
Charente - Maritime - Château de la Roche Courbon
Charente - Maritime - Château de la Roche Courbon

La maledizione di chi legge un libro o guarda un film è quella di leggerlo o guardarlo, senza riuscire a comprendere le relazioni che lo costituiscono: un labirinto di strade – nel caso di un’opera riuscita – viene ridotto a un’unica via, rettilinea, e da percorrere frettolosamente.“ dice Giovanni Bottiroli  (Joe, o le disavventure di una ninfomane – l’etica del desiderio e l’ineludibile problema della colpa). 

La maledizione è la stessa anche se si guarda senza comprenderla un'opera dell’ingegno in forma di paesaggio. Stavolta però qualcuno riesce a sviarmi da quell'unica via, rettilinea, e da percorrere frettolosamente.

Quel qualcuno ha un nome: Pierre Loti e quello che scopro è un giardino risorto non una ma molte volte, salvato dall'incuria con determinazione e perseveranza, rinato attraverso soluzioni tecniche innovative come i “pilotis”, distrutto nuovamente da una tempesta e risuscitato ancora una volta. Sembra quasi di vederli, i giardinieri, gli architetti, i paesaggisti mentre percorrono in silenzio, in un pellegrinaggio di desolazione, i sentieri di un paradiso improvvisamente trasformato nella sua antitesi. 

Sarà lungo il tempo del risveglio, sarà accidentato il cammino.

Il giardino creato da Jean–Louis de Courbon nel XVII secolo deve la sua prima rinascita proprio a Loti, scrittore, Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Legion d'Onore e membro dell’Académie française. 

Pierre s’innamora della foresta di La Roche Courbon durante le vacanze della sua prima giovinezza trascorse da sua sorella Marie a Saint-Porchaire. A quel tempo la proprietà era in uno stato di colpevole abbandono, così il 21 ottobre 1908 con un editoriale su Le Figaro, lancia un appassionato appello per la salvezza della foresta e del castello feudale.

Paul Chénereau risponde (aveva acquistato la proprietà due anni prima) e chiede all'architetto paesaggista Ferdinand Duprat di far rivivere i giardini del XVII secolo, ispirandosi a un dipinto di Jan Hackaert del 1660. Ci vorranno 11 anni.
Charente- Maritime - Château de la Roche Courbon - Giardini
Charente- Maritime - Château de la Roche Courbon - Giardini
Vent'anni dopo le paludi circostanti provocano il cedimento dei parapetti, dei viali, degli alberi e il terreno sprofonda di 8 cm l’anno. 

Jacques Badois, genero di Paul Chénereau e padre dell’attuale proprietario, decide di ricostruire l’impianto dei giardini poggiandoli su dei pilastri (pilotis): i sondaggi trovano suolo “buono” per appoggiarli a una profondità tra gli 8 e i 14 metri  (il letto del vecchio fiume). I lavori iniziano nel 1976 e ci vogliono 25 anni per trasformare l’intera area in un grandioso giardino sospeso.

Il 27 dicembre 1999 una tempesta si abbatte sulla regione: poche ore di furia distruttrice bastano a cancellare anni di lavoro meticoloso. 

Si ricomincia, si cercano i finanziamenti, interviene la Direction Régionale des Affaires Culturelles, il Conseil régional de Poitou-Charentes, il Conseil général de la Charente Maritime… 

Così i giardini su pilastri nel mezzo delle paludi riprendono vita ancora una volta, con buona pace di Pierre Loti che per primo ne aveva intuito bellezza e resilienza.
Charente- Maritime - Château de la Roche Courbon
Charente- Maritime - Château de la Roche Courbon



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martedì 9 agosto 2016

Vecchi post e lean back mode

Stiamo per rimetterci in viaggio e torneremo anche stavolta con una valigia piena di appunti, spunti, note, impressioni, suoni, colori, odori, immagini (migliaia!) da rimettere in ordine prima della prossima pubblicazione che tanto, in barba a qualunque precedente pianificazione editoriale, racconterà dei luoghi e delle storie in cui saremo incappati strada facendo.

Nell'attesa ripubblichiamo alcuni vecchi post da leggere rigorosamente in lean back mode ;-). 

Ne abbiamo scelto alcuni tra i più lunghi, scritti da me e Alessandro, molto spesso ispirati da donne straordinarie. C’è un po’ di cinema, un po’ di letteratura, un po’ di leggenda, un po’ di storia, un po’ di racconto autobiografico e naturalmente il viaggio.

Di testi lunghi e lean back mode ha parlato approfonditamente Luisa Carrada (qui il testo completo): […] Mario Garcia chiama questo nuovo bisogno di lentezza “secondo tempo”, contrapposto al “primo tempo”, il ritmo frenetico con cui leggiamo voracemente email, sms e notizie. A questi due ritmi e modalità di lettura Garcia associa persino due diverse posture del nostro corpo: il lean forward mode, che ci vede impazienti e protesi in avanti, e il lean back mode, che ci vede rilassati indietro a godere della lettura. Lo sgabello e il divano. […]

L’idea del divano, per me che ho una passione dichiarata per gli sgabelli, non ci dispiaceva affatto :-).

Per gli abstract ci siamo divertiti a studiare la fantastica newsletter del post e la rassegna settimanale della community #adotta1blogger curata da Paola Chiesa, senza alcuna seria pretesa di emulazione ma per il solo gusto del cimento. ;-)

Enjoy your trip dunque e buona lettura!:-)

Io, Esmeralda e le altre
Vertigo - La donna che visse due volte - Alfred Hitchcock
C’era una volta una vecchia scala di legno pericolante che conduceva a un sottotetto… Potrebbe trattarsi della prima inquadratura di un film dell’orrore ma qui in realtà si parla anche d’altro, si parla di verità, di fanciullezza, di libertà… non manca il brivido certo, ma per le urla meglio leggere forse quest’altro post in cui è l’intera casa a farla da protagonista. Si trova a Torino e anche qui dimora un po’ di fanciullezza, a ben cercare.

Canta il giallo: l’amaro caso della Baronessa di Carini
Castello di Carini

Chissà se anche la Baronessa di Carini era una scavezzacollo da bambina.
La sua storia straordinaria arrivata fino a noi grazie al “povero amore di un cantastorie” ferma l’immagine sulla sua tragica fine ma nulla ci dice dei suoi primi anni. E il canto che la celebra come “la più bella stella che sorrideva nel cielo, un’anima senza ombre e senza veli, la stella più bella tra tutte le stelle” pare ancora di sentirlo…

La maison au bord de mer: E.1027
E.1027 - Eileen Gray

Si vocifera che le mura del Castello di Carini siano ancora imbrattate con l’impronta della mano insanguinata della Baronessa, ma quanto a imbrattare muri per cercare di annientare lo spirito indomito di donne fuori del comune è pieno il mondo, in questo caso tuttavia l’epilogo non è così scontato. 



Off topic... 6 giugno 1944, lettera dalla Normandia
Cimitero americano - Colleville-sur-Mer

Ci vuole mezz’ora circa dalla E.1027 a Nizza. Solo una manciata di minuti per arrivare alla Promenade des Anglais. Eppure c’è stato un tempo in cui il nemico era riconoscibile, i confini del bene e del male erano netti e sembrava quasi di poter stare dalla parte giusta. Si poteva decidere di non obbedire a un comandante ma solo alla propria coscienza di persona e di donna libera: è la storia di Paulette, eroina della resistenza.

Il labirinto di bambù e altre storie
Labirinto della Masone - Parma

Da sempre il labirinto parla della rischiosa complessità del mondo, di vita, di morte, di bene e male, di perdizione e redenzione; parla anche di solitudine, di angosce e paure, di misteri occulti e segreti gelosamente custoditi.” (Iliana Borrillo, Il labirinto come simbolo del viaggio entro e oltre il limite). Ma entrare pagando un biglietto d’ingresso lo rende meno drammatico? ;-)

Appendice: dove si parla di Sir Arthur Conan Doyle, del Drunken Garden, della Valle della Paura e dei Misteri dei giardini di Compton House
The Draughtsman's Contract - I misteri del giardino di Compton House - Peter Greenaway

Alle brutte, stufi dei labirinti, si può sempre ripiegare in qualche signorile residenza tipicamente inglese cercando finalmente il riposo in un giardino purché ubriaco s'intende.







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martedì 2 agosto 2016

L'esplosione, la strage...


di Alessandro Borgogno - 26/07/2005

Ma noi, noi Italiani, che ora siamo così colpiti e stravolti dalle bombe di Londra e di Sharm el Sheik perché, come si sente dire ovunque, “ora siamo tutti coscienti che può accadere anche a noi”, noi Italiani, dicevo, questa cosa la conosciamo già.

E la conosciamo bene. O continuiamo anche in questo caso a dimenticare sempre tutto per riscoprirlo ipocritamente ogni volta come se fosse la prima?

Queste stragi di innocenti ci suonano davvero così atroci come se non ci avessimo mai avuto a che fare fino ad oggi, come se le avessero inventate Bin Laden e Al Quaeda? Gli islamici musulmani integralisti fanatici pazzi invasati?

No. Non le hanno inventate loro.

C’è una stazione, in pieno agosto, in una grande città.

Ci sono centinaia di persone che arrivano e partono per le vacanze, per andare al mare con il treno.

Con il treno, perché non sono ricchi.

E c’è la sala d’attesa, perché alla stazione si aspetta.

La sala d’attesa della seconda classe, perché non sono ricchi.

La seconda classe…

Bastardi.

Ci sono 85 persone che aspettano di partire, e partiranno per non tornare mai più.

L’orologio della stazione, quello proprio sopra la sala d’aspetto della seconda classe, segna le 10.25.

E lì si fermerà. Per sempre.

Nella sala d’aspetto, in attesa del treno delle vacanze, giovani parlano, anziani leggono i giornali o controllano gli orari, mamme e papà sorvegliano i loro bambini che giocano a rincorrersi nella sala, correndo e girando anche attorno a quella valigia che sembra lasciata lì, dimenticata da qualcuno.

Gli ultimi giochi.

E poi la valigia esplode, la stazione trema, la città intera trema, la sala d’aspetto della seconda classe, la seconda classe brutti bastardi!, crolla in un attimo, la stazione la piazza la città intera si riempiono di polvere, di fuoco, di sangue, di urla.

Ottantacinque persone, donne, uomini, anziani e bambini, non esistono più. Polverizzati, dilaniati con i loro vestiti, i loro pensieri e le loro speranze da seconda classe, dissolti per sempre.

Nessun vero perchè, e naturalmente nessun vero colpevole. Non Madrid, non Londra, non New York e non Sharm el Sheik.

Niente “terrorismo islamico”, tutta roba nostra.

Sono le 10.25 del 2 Agosto del 1980

È la stazione di Bologna. 
Stazione Centrale di Bologna



Questo post è stato pubblicato anche sul sito di Parolae


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giovedì 7 luglio 2016

L’Accademia, la cultura digitale e il giardino dipinto

Accademia di Francia a Roma - Villa Medici
Accademia di Francia a Roma - Villa Medici
Varco con un senso di straniamento crescente l’enorme portone dell’Accademia di Francia, salgo la monumentale scalinata in pietra fino alla terrazza e tento inutilmente di scattare una foto per Twitter, ma prima di essere soddisfatta dell’inquadratura ha inizio la conferenza. 


Hervé Brunon e Denis Ribouillant, curatori della pubblicazione, presentano “De la peinture au jardin”, un testo che raccoglie una serie di studi che trattano le complesse procedure di traslazione del passaggio dalla pittura al giardino, dal Rinascimento a oggi.


Monet - Maison et Jardin, Giverny
Monet - Maison et Jardin, Giverny
Il tema è di grande interesse per chi scrive, particolarmente dopo aver visitato il giardino di Monet a Giverny nel 2013 e l’intima necessità di saperne di più è fuor di dubbio. Da dove arriva allora questa sensazione?

L’apprendimento, dice Annamaria Testa,  è un processo complicato, fatto di percezioni, ragione, emozioni, memoria, strategie, esperienza, ambiente, autostima

L’esperienza dell’apprendimento, nel caso in specie, è fondata su una libera scelta, motivata e stimolata da percezioni positive e memoria (di pittori, di giardini, di luoghi in cui si incontrano), animata dalla ricerca di senso. Eppure…

Per le successive due ore o poco meno siamo chiamati ad apprendere spogliandoci delle sovrastrutture di rete (intesa nel senso di www), dei paradigmi digitali secondo cui tutti sono sempre collegati, si esprimono in tempo reale, condividono la propria conoscenza; dei processi di apprendimento mediati da Smartphone e Wi-Fi free, per riappropriarci di un modello della fruizione che potremmo definire accademico nella modalità, nei tempi, nei contenuti

La signora elegante seduta accanto a me a metà del secondo intervento scivola dolcemente nel sonno, complice la penombra della sala. L’Accademia, sembra suggerire il suo viso disteso, basta a se stessa: l’esclusività della pubblicazione, l’attività accurata di ricerca, la reputazione e il curriculum dei partecipanti, la levatura dei quattro autori e dei due direttori per un testo pubblicato in quattro lingue – nel senso che ogni contributo è nella lingua dell’autore – sottintende che non è un prodotto di massa, ancor più se la massa di cui parliamo e a cui sento di appartenere è quella che si nutre di cultura digitale

Ecco dunque risolto il mistero.

Continuo a prendere appunti, aggiungo una nota sulla funzione semiotica fondamentale della panchina delle madri, riordino le idee su pittori-giardinieri, poeti e letterati, sulle relazioni estetiche favorite dalla mediazione con la scenografia, la poesia o la fotografia, sull'utilità dei giardini dipinti per il loro restauro, sul filone antropologico del paesaggio, sulla critica del giudizio di Kant, sulla democratizzazione e le lavandaie.

L’interazione tra le arti e i giardini e lo scambio vicendevole tra il reale e la sua rappresentazione è legato al libero gioco dell’immaginazione ha detto infine qualcuno, non ricordo più chi. E sarei propensa ad accogliere questa tesi, non so a questo punto se influenzata dall'apparizione di Madame Mayette-Holtz arrivata per un veloce saluto e scomparsa in un incanto di mussola svolazzante, probabilmente per un vernissage. :-)


Monet, Giardini, Giverny
Monet - Maison et Jardin, Giverny

Monet - Maison et Jardin, Giverny
Monet - Maison et Jardin, Giverny

Monet - Maison et Jardin, Giverny
Monet - Maison et Jardin, Giverny

Monet - Maison et Jardin, Giverny
Monet - Maison et Jardin, Giverny

Monet - Maison et Jardin, Giverny
Monet - Maison et Jardin, Giverny



Per approfondimenti:


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mercoledì 22 giugno 2016

Giovanna corre

Le ribellioni individuali, posto che esistano, sono destinate al fallimento.
 (Guida alla Roma ribelle, Voland 2013)

Fatico un po’ a trovare una posizione e continuo a spostarmi nel poco spazio non occupato del muretto che circonda uno degli alberi di Piazzale Ponte Milvio, che svetta proprio di fronte al Bar-Libreria Pallotta. Evito per un pelo di finire su una macchia di liquido scuro non ben identificato. 
Libri&Bar Pallotta - Piazzale Ponte Milvio 21/24,RomaSaranno più o meno le dieci di sera, la libreria è aperta per Letti di notte, sul palco improvvisato nella piazzetta, con gli ospiti seduti su un vero letto, il cantore della serata presenta faticosamente una guida, tra le incursioni del Bus Challenge e gli intermezzi musicali di librai con il tamburo. Mi raggiungono, nonostante il rumore delle chiacchiere e della città, le parole ex snia e la mia attenzione ne è immediatamente catturata. Mi sposto più avanti per sentire meglio. 

Si parla della Guida alla Roma ribelle, un volume che racconta la vocazione sovversiva e libera di Roma attraverso luoghi sparsi un po’ ovunque nella città.

Questa parola, ribelle, mi appartiene come poche altre. "Fossi nata nel Medioevo ti avrebbero bruciata subito", ebbe a dire una volta mia madre:-). 

Nel tempo ho smesso di accapigliarmi con chiunque anche per futili motivi ma continuo a parteggiare per quelli che hanno vocazione alla rivolta, come Roma. La Roma ribelle. La Roma della memoria che parte da Menenio Agrippa e dalla Basilica di Massenzio, passa per Giordano Bruno, il cimitero acattolico, la Repubblica Romana, i quartieri popolari dove nacque e crebbe la resistenza, e arriva nelle piazze dei punk e degli artisti, nei punti di ritrovo dei movimenti studenteschi, nelle occupazioni delle case e nei luoghi di culturaLa Roma di chi vuole andare oltre la cortina fumogena dei luoghi comuni sedimentati nel tempo.

A questa città mai sconfitta e ai luoghi della sua ribellione dedico il racconto di Giovanna, donna anticonformista, ribelle e straordinaria, uno di quei racconti che riecheggiano lievi nelle piazze alberate in queste lunghe sere d’estate.
Libri&Bar Pallotta - Piazzale Ponte Milvio 21/24,Roma
Libri&Bar Pallotta - Piazzale Ponte Milvio 21/24,Roma

Giovanna corre
di Alessandro Borgogno

Giovanna cammina sul marciapiede.

Ha appena preso il pane in uno dei posti dove ogni tanto si trova, se si è pronti e si sa dove andare. Cammina a passo spedito lungo via Labicana, che scende larga e luminosa verso il Colosseo.

È una ragazzina di 16 anni, ma in quegli anni a Roma non si può essere ragazzini, perciò in realtà è già quasi donna. Ha ancora l’incoscienza naturale della sua età, ma ormai da tempo anche la coscienza del pericolo, della paura, del sacrificio.

La giornata è chiara e limpida, l’aria tiepida. Pochissimi rumori. Automobili, già rare, nessuna.

Ma che ci sia qualcosa nell’aria si sente da giorni, del resto è tanto che ormai a Roma ogni giorno accade qualcosa.

Non ha guardato il calendario prima di uscire, forse neanche lo aveva. Sa solo che ormai è giugno; e a Roma, a giugno, l’estate è già iniziata.

È il 4 Giugno del 1944.

Il Colosseo, le arcate aperte sul cielo, appare stanco. Soffre con la sua città e la sua gente da mesi in ostaggio dell’occupante, minacciata, torturata, inseguita, uccisa, affamata. Eppure, lì in fondo alla strada, si mostra sempre bellissimo. Per Giovanna e per tutti i romani, un motivo in più fra i tanti per voler continuare a vivere.

Il rumore dei motori è quasi improvviso. E’ ancora lontano ma nel silenzio rimbomba netto e minaccioso. Non sono aerei. Sono automezzi, camionette, camion.

Stanno arrivando da San Giovanni. Potrebbe essere un normale convoglio come ne passano tanti eppure c’è qualcosa di diverso. Come andassero più veloci, e non ordinati come al solito. E poi c’è un altro rumore insieme a quello dei motori, più intermittente e più sinistro.

Quando capisce che qualcosa che non va hanno già imboccato lo stradone. Li vede da lontano e distingue benissimo tutto, ha una giovane vista da lince. Jeep tedesche, inconfondibili. Ma diversamente dal solito, sembra stiano scappando inseguiti da qualcuno.

Ormai sono abbastanza vicini da distinguerne divise e facce. Il rumore che si sentiva erano raffiche di mitra. Staranno pure scappando, ma sventagliano con i mitra a destra a sinistra, verso i marciapiedi, incattiviti e feroci.

Capisce in un attimo che si trova proprio sulla loro strada, e che una di quelle raffiche è destinata a falciarla lì, sul marciapiede, proprio il giorno in cui Roma si prepara alla sua prima estate da città libera.

Rat-ta-ta-ta-ta-ta-ta.

La strada è lunga, dritta, e non ha traverse a portata di gambe. E allora fa la cosa che gli riesce meglio, che gli è sempre riuscita meglio.

Giovanna corre.



Tratto da: Un'estate a Roma, Giulio Perrone Editore


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mercoledì 8 giugno 2016

Il lago di Roma

Ufficialmente si chiama "Sandro Pertini" ma per gli abitanti del quartiere Pigneto-Prenestino, è il lago ex-Snia. Snia sta per Snia Viscosa la fabbrica che popolò quest'area della capitale negli Anni '20 in poi: oltre 2 mila operai, più del 50% donne, provenienti chi da altre regioni, chi dai borghi del centro. Poi nel 1954 la fabbrica venne chiusa (Ansa Magazine)

Hanno strane storie le ex fabbriche di Roma. 

Questa è proprio dietro casa. Dietro casa nell'accezione di chi a Roma vi abita, ovvero raggiungibile in un tempo inferiore alla mezz'ora, in un luogo dove per andare “ovunque” ci vuole minimo un’ora, escludendo la ricerca del parcheggio. 

Lo stabilimento Snia viscosa prima della crisi del ‘29 conta più di 2.300 addetti. 

Nel giro di un paio d’anni ne perde un migliaio e solo gli aiuti statali la salvano dal fallimento legando inesorabilmente la sua storia a quella del Regime fascista e della politica di guerra (produce, tra le altre cose, uniformi militari). Nel 1949 impiega ancora 1.600 operai, ridotti a 120 nel giro di pochi anni fino alla chiusura definitiva, avvenuta nel 1954.

Nel 1982 il complesso dell’ex fabbrica passa alla Società Immobiliare Snia S.r.l. che negli anni ’90 vende l’intera proprietà alla società Pinciana 188 S.r.l. (poi assorbita dalla Ponente 1978 S.r.l., proprietà di un noto palazzinaro romano) per farne un Centro commerciale. 

Nel 1992, poco dopo l’inizio dei lavori, uno sbancamento nel cantiere di circa 10 metri intercetta una falda acquifera e si forma un lago. Nel tentativo di liberarsi dell'acqua il costruttore la indirizza verso il collettore fognario, che però non ce la fa, allagando largo Preneste.

Infinite volte passo lungo questa arteria cittadina, in uno dei quartieri multietnici a più alta densità urbana di Roma, un amalgama di razze e di strade che si incrociano: via Prenestina, via di Portonaccio, via dell’Acqua Bullicante, il traffico è sempre congestionato, il transito del tram è continuo, un chioschetto sforna pane ciociaro cotto a legna... 

Allagare Largo Preneste. Che bella idea.

Da questo momento in poi l’intera faccenda si ingarbuglia parecchio, ma il lago dietro il muro di mattoni di Via di Portonaccio resiste, e da più di vent'anni centri sociali, comitato di quartiere, cittadini, WWF, Forum Territoriale Permanente del Parco delle Energie lottano per preservarlo dall'incuria e dalla corruzione.  

Lottano contro la mancanza di fondi per l’allestimento e la riqualificazione degli spazi verdi, lottano contro il ritorno delle gru e dei cingolati, contro il pericolo di “torri” di cemento, contro la burocrazia e il malaffare, lottano affinché si arrivi a una vera tutela con la trasformazione in monumento naturale e la demolizione degli abusi edilizi mai bonificati.

Nell'agosto 2014 una parte del lago (circa la metà) è stata annessa al Parco delle Energie ma i fondi stanziati per la sistemazione dell’area (500.000€) non sono mai stati resti disponibili e oggi è autogestito da tutti coloro che vogliono partecipare costruendo arredi, pannelli, pulendo l’area, mettendo a disposizione le proprie competenze e autofinanziato con la cassa di resistenza del 25 aprile.

Dall'ingresso del Parco delle Energie di via Prenestina il lago non si raggiunge. 

Superato il cancello parte un viale costeggiato sulla sinistra di edifici in disuso, a cui vegetazione e street art restituiscono un fascino vagamente nostalgico.  Più avanti un campo da Basket. Mentre osservo i ragazzi più grandi allenare i piccoli, una ragazza si stacca dal gruppo. Bellissima, tratti orientali, lunghi capelli neri, calze che terminano sul ginocchio con la forma di una testa di gatto, incedere annoiato. Sembra un manga, un’apparizione evocata da uno dei mondi colorati presenti in ogni angolo di questo strano parco. 


Lago Ex Snia, Roma - Street art

Lago Ex Snia, Roma - Street art
Lago Ex Snia, Roma - Parco delle Energie

Lago Ex Snia, Roma - Parco delle Energie

Lago Ex Snia, Roma - Parco delle Energie

S’intravede il tentativo di dare forma agli spazi verdi ma gli alberi piantati stentano a crescere, le panchine di legno sono quasi tutte rotte, i cespugli di lantana delle aiuole sono soffocate dalle erbacce, si direbbe la rivincita del jardin sauvage o del Terzo Paesaggio. Solo i giochi dei bambini risuonano delle loro grida divertite. Mi chiedo se i loro sguardi, crescendo, sentiranno di più la necessità di bellezza o se questo luogo li renderà ciechi all'abbandono e al degrado.

Un buco nella recinzione permette l’ingresso abusivo in un sottobosco di allori dove un sentiero cosparso di preservativi e fazzoletti di carta conduce a un affaccio. 
Lago Ex Snia, Roma - Parco delle Energie


Eccolo, in lontananza, il lago di Roma. Diecimila mq d’acqua, addirittura balneabile dicono. Da qui sembra una pozza ma è abbastanza per far galoppare la mia fantasia verso orti galleggianti, macchie rosa di fenicotteri, grandi cespugli di Buddleja, minuscoli giunchi palustri e qualche salice piangente, capanne di legno per l'osservazione degli uccelli, mercati coperti al posto delle vecchie fabbriche. 

Lago Ex Snia, Roma - Parco delle Energie



Lago Ex Snia, Roma - Parco delle Energie
E perché no? Una scuola di pittura en plein air! ;-)
Giverny - Giardino di Monet - Ninfee
Giverny - Giardino di Claude Monet - Ninfee




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