giovedì 30 aprile 2015

10 domande. Più una: cosa succede al crociato in caso di avvitamento?

L’ultima volta che ho ricevuto un premio è stato nel 2012 quando la mia squadra di calcetto è arrivata prima in un torneo misto. A dire il vero non sono riuscita a giocare la finale perché in uno degli ultimi allenamenti, nel tentativo di intercettare il pallone in area, mi sono attorcigliata su me stessa con tutto il corpo tranne il ginocchio (che invece è rimasto fermo) e sono finita al pronto soccorso saltellando appoggiata ad un tronco, reduce da qualche gita in montagna, recuperato nel cofano della macchina. Diagnosi: lesione del crociato, fasciatura e immobilità per una quindicina di giorni. 
La parte più divertente è stata spiegare a medici, infermieri, colleghi, amici e parenti la dinamica dell’incidente e sentirsi rispondere con tono ammirato: ah! Come Totti! Ah! Come Ronaldo! J

Nei giorni scorsi ho ricevuto invece la gradita sorpresa di essere nominata per il Liebster Award.


Il Liebster Award è un riconoscimento che i blogger conferiscono ad altri blogger con un numero di followers inferiore ai 200-300, serve per farsi conoscere, dovrebbe provocare meno danni di un torneo misto di calcetto e le regole sono meno complicate di un fuorigioco: ringraziare il blog che ti ha nominato, rispondere alle 10 domande proposte, nominare altri 10 blog e comunicare la nomina ai prescelti.

Per la designazione ringrazio di cuore Michela Richiero http://nnuulloo.blogspot.it/2015/04/liebster-award-discover-new-blogs.html ma confesso la sua stessa difficoltà: la maggior parte dei Blog che conosco o seguo ha un numero di followers maggiore di 200-300 per cui la mia lista si limita a cinque nomination.

http://www.indieinterior.com
http://www.cusciniecactus.com 
http://www.comesoloacasa.it
http://www.groovyelisa.it
http://www.retroanddesign.it

E veniamo alle domande che propongo a mia volta alle blogger nominate.

1. Perché hai aperto un blog? Ho provato a dirlo qui quasi un anno fa, nel frattempo molte cose belle sono successe ma l’idea iniziale è rimasta immutata: La Kasa Imperfetta è un luogo di ispirazione e condivisione
2. Ci parli un po’ delle tue passioni? Molte sono facilmente immaginabili dalle parole di questo blog. Aggiungo la mia grandissima passione per le torte di mele e il tiramisù di mia sorellaJ
3. Quanto pensi che i commenti e le interazioni siano utili per un blogger e in che modo? Commenti e interazioni sono linfa vitale per un blog.  Diceva bene George Bernard Shaw: se tu mi dai una mela e io ti do una mela, entrambi restiamo con una mela. Ma se io ti do un’idea e tu mi dai un’idea, entrambi avremo due idee.
4. Di cosa parli nel blog? Di case nel cinema, nella letteratura, nella pittura, di case vere o di fantasia, del verde in tutte le sue forme. E naturalmente di storytelling.
5. Hai creato un rapporto di amicizia con altri blogger? Vi siete mai conosciuti personalmente?  Ho conosciuto una delle mie muse, Luisa Carrada, durante il convegno sul content marketing Ccome15J
6. Come immagini il tuo blog tra due anni? Vorresti vederlo crescere/cambiare e in che modo? Difficile dirlo, per ora cerco di “nutrire il bambino”  e incrementare l' audience. 
7. La cosa che sai fare meglio? Pianificare.
8. Quanto tempo dedichi al tuo blog? Tutto quello che posso, per approfondire, studiare, migliorare.
9. Come nascono i tuoi post? Da un articolo, un libro, una parola, un viaggio, una mostra, un post su un social, una nomination J. In questi giorni per esempio sto elucubrando sul colore blu e sul braccialetto ceruleo del maestro acquerellista Raffaele Ciccaleni
10. Un saluto a chi legge? Stay tuned! J


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venerdì 24 aprile 2015

Il verde altrove... Vi presento John Tebbs

Sarà per la barba.

Sarà che si fa un gran parlare di quelli che la sfoggiano, s'intende quella folta, curata, virile; sarà che il suo sito recita un'irresistibile dichiarazione di intenti: "A collection of products and stories inspired by the garden"; sarà che un giardiniere con la barba è il sogno proibito di ogni donna dopo il guardiacaccia de L'amante di Lady Chatterley (che a dire il vero non ricordo se avesse la barba); sarà che a chiedergli quali sono i giardini che lo emozionano risponde: quello del nonno (un fazzoletto di tre metri in una villetta a schiera) e l’High Line di New York; sarà che è londinese e la cultura anglosassone del verde fa scuola da più di un secolo, ma a me John Tebbs sembra proprio un gran figo. J

John Tebbs arriva al giardinaggio per sentieri traversi: inizia in un vivaio a 14 anni, studia arte e design, insegna inglese a Praga, poi torna a Londra e ricomincia ad occuparsi di giardini.

Nell’inverno piovoso del 2013 lancia il progetto The Garden Edit, sito e shop on line con una collezione che riflette la sua estetica: prodotti “minimal” disegnati da artisti o realizzati da artigiani provenienti da tutto il mondo (strumenti olandesi handmade, ceramiche di fabbricazione americana...).

Il resto lo fa il personal branding, lo stile hipster, la collaborazione con i marchi del lusso.
Il risultato è un metissage di glamour, design, creatività, mestiere.

Abbastanza per entrare nel mito?

Annamaria Testa racconta qui che negli interstizi più marginali nascono nuove forme di espressione. Fenomeni di assoluta nicchia possono, per vie misteriose, diventare mainstream: all’inizio degli anni Novanta le scarpe senza lacci e i calzoni larghi senza cintura dei detenuti americani neri (in carcere lacci e cinture sono vietati) diventano l’uniforme mondiale dell’hip hop. E via, ecco tutti gli adolescenti, non ultimi i bravi ragazzi di buona famiglia, con le mutande di fuori.

E chissà che i giardinieri barbuti non riescano a fare altrettanto. 

Be inspired! J


John Tebbs - The Garden Edit

John Tebbs - The Garden Edit

John Tebbs - The Garden Edit

John Tebbs - The Garden Edit

John Tebbs - The Garden Edit

John Tebbs - The Garden Edit

John Tebbs - The Garden Edit

John Tebbs
 Fonti:

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venerdì 17 aprile 2015

Tisser Matisse

Qualche anno fa durante una gita a Napoli comprensiva degli immancabili presepi, delle Sette Opere di Misericordia, di caffè, pizza e sfogliatelle, uscendo dal museo di Capodimonte al crepuscolo di un’intensa giornata, la vista distratta di un dipinto in esposizione temporanea sancisce per sempre la mia memoria di quel giorno. 

Più del Caravaggio che pure è tra i miei preferiti in assoluto, più delle sfogliatelle, della pizza, del caffè, dei presepi.

Il dipinto è Tabac Royal di Matisse, ritrae una giovane donna e i motivi per cui è così indissolubilmente ancorato in qualche punto del mio subconscio non starei ad approfondirlo in un post che dovrebbe parlare, per lo più, di tessuti. J


Matisse - Tabac Royal

Sull’opera del più sofisticato esteta della pittura del ‘900 (Il volto dell’occidente, Flavio Caroli) confesso di nutrire sentimenti contraddittori ma l’aspetto che mi accingo ad indagare è un altro: il Matisse dei “tessuti”.

Considerando il numero di figure nude presenti nella sua produzione sarà un po’ come aggiungere le mutande al giudizio universale? J

Henri Émile Benoît Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 31 dicembre 1869 – Nizza, 3 novembre 1954), pittore, incisore, illustratore e scultore francese (nella definizione di Wikipedia), trascorse la sua giovinezza tra i telai che confezionavano i tessuti più lussuosi per l’Haute Couture parigina e le seterie di Lione.

Possedeva stoffe di tutte le regioni del mondo con cui tappezzava le pareti dei suoi atelier, nello stile delle abitazioni dei nomadi. Li definiva "i miei stracci" e avevano le origini più diverse: scampoli acquistati sulle bancarelle parigine in gioventù, stoffe nordafricane, vestiti di alta moda e tappeti orientali.

L’amore per i tessuti Matisse lo eredita dalla famiglia di tessitori e il suo lavoro ne risulterà intriso: nei motivi arabescati, nei colori brillanti, negli sfondi damascati dei dipinti, nei costumi e nelle scenografie dei balletti russi, nei cartoni realizzati su commissione per arazzi e foulard di seta.

Comporrà per le sue “odalische” piccoli teatri fatti di una grande varietà di tendaggi, tappeti, accessori esotici, atmosfere sognanti e incanto orientale.

Molte stoffe raccolte durante la sua vita sono esposte alla Royal Academy di Londra accanto alle sue opere e l’effetto “tessile” dell’impianto pittorico è uno dei temi della retrospettiva “Arabesque” alle Scuderie del Quirinale fino al 21 giugno (qui i dettagli).

Per chi (dopo aver letto questo post J) volesse tentare una mise en place ispirata a Matisse e ai suoi colori vibranti un buon punto di partenza è sicuramente Tricia Guild
Be inspired!






Fonti:


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venerdì 10 aprile 2015

Il verde altrove… Orti urbani, muri commestibili e professori visionari: benvenuti nel nuovo (Green) Bronx (Machine)

Gli abitanti dei centri urbani crescono sul pianeta al ritmo di 60 milioni all'anno, oggi sono il 54% nel 2050 saranno il 66%.

Il 10% della popolazione mondiale vive in Ville Planète ad alta intensità urbana, non-luoghi, secondo la definizione dell’antropologo Marc Augè, effimeri e fluttuanti, senza identità,  agghiaccianti persino.

Date un’occhiata a qualche fotogramma del documentario Koyaanisqatsi (1982) del regista americano Godfrey Reggio. Il titolo, in lingua hopi dei nativi americani, vuol dire più o meno "vita fuori dal suo equilibrio". Basta anche il trailer ufficiale: https://www.youtube.com/watch?v=tDW-1JIa2gI

Immagini che valgono più di mille parole.

Questi non-luoghi sono spesso teatro di avvenimenti dolorosi e drammatici amplificati dall'eco mediatico, dal numero di condivisioni, dai 10-100-1.000-100.000 like, dalla ricerca affannosa dell’episodio virale.

Solo che a volte può esserci un epilogo inconsueto. E sorprendente. 

Basta crederci. 

Siamo nel South Bronx, a poche fermate di metropolitana dalla Manhattan dello shopping e del business, in uno dei distretti più poveri d’America dove 250.000 persone vivono al di sotto della soglia di povertà. Qui sorgono 4 centrali nucleari, 60 centrali energetiche, decine di impianti industriali dismessi, impianti di trattamento dei rifiuti.

Povertà, disoccupazione, malattie, obesità, illegalità, indifferenza, solitudine, violenza. Sembra un film già visto vero?

Solo che stavolta il regista ha provato a riscriverla questa storia, cambiando il finale.

Stephen Ritz è un insegnante di scienze del Bronx e nel 2005 si è fatto una domanda, anzi due: Come posso insegnare scienze in un ambiente in cui non c’è nulla di vivo? E come posso allo stesso tempo creare delle opportunità per degli studenti che altrimenti saranno costretti ad abbandonare queste comunità?

La risposta è qui. La conferenza (in inglese con testo interattivo in italiano) vale un click, vi assicuro. Ne anticipo qualche stralcio.

Sono qui per raccontarvi una storia su di me e su questo muro che ho trovato fuori, e che ora porto dentro. Tutto comincia con dei semi in classe, nella mia classe. 
È veramente tutto qui. 
Abbiamo realizzato il primo muro commestibile di New York.
Potreste chiedervi cosa può fare per i ragazzi un muro commestibile, oltre a cambiare il paesaggio e la mentalità. Ok, vi dirò cosa fa. Mi fa incontrare imprenditori incredibili come  Jim Ellenberger. Jim si è reso conto che questi ragazzi, i futuri agricoltori, avevano le capacità di cui aveva bisogno per costruire case accessibili per i cittadini di New York, proprio nel loro quartiere. 
Ed è questo che stanno facendo i miei ragazzi, si guadagnano da vivere.
Ma soprattutto hanno imparato a ricevere, hanno imparato a donare. 
Abbiamo preso il denaro guadagnato dal nostro mercatino, e abbiamo cominciato a comprare regali per i senzatetto e per i più bisognosi nel mondo. 
Abbiamo cominciato a restituire. E mi sono reso conto che per far crescere l'America ci vogliono prima i soldi, poi il cuore e poi la testa…

Stephen Ritz è un insegnate di scienze del Bronx e la sua associazione Green Bronx Machine gestisce oggi decine di realtà, strutture e programmi nelle scuole, coinvolgendo ogni anno centinaia di studenti e proponendo idee innovative, come l'area destinata a parcheggio al di sotto della sopraelevata della metropolitana trasformata in un vivaio-laboratorio con tanto di aia per i polli in cui tutto è fatto di materiale riciclato, si composta, si recupera l’acqua piovana e si tiene un farmers market i cui ricavati vanno agli studenti; oppure l’orto comunitario in un’altra zona fino a un decennio fa patria del crack e della prostituzione e oggi spazio verde per la produzione di cibo locale.

Orti comunitari, muri commestibili, vivai, ma anche applicazione di nuove tecnologie come la coltivazione idroponica, mercati, ristorazione collettiva, sostenibilità, corretta alimentazione, occupazione, legame sociale. Spazio, identità. 

Luogo.

Basta crederci, vero? :-)
New York

New York

New York

New York

New York

New York

New York

New York




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Fonti:

venerdì 3 aprile 2015

Se potessi avere un Tolix e un cugino architetto

Mi piacerebbe comprare un rudere e ricavarne un loft.

Non uno qualunque, questo


Stando alle riviste di arredamento, chi compra un rudere per ricavarne un loft di solito ha un cugino architetto che poi lo smonta per lasciarci solo i muri:-).

Se potessi avere un cugino architetto e un loft, poi ci metterei uno sgabello

Non uno qualunque, questo.




Ogni volta che dico Tolix, riferito al famoso sgabello creato dal metalmeccanico francese Xavier Pauchard a inizio secolo (in questo articolo tutti i segreti del marchio), sistematicamente mi sento rispondere: “cosa?”. 

Allora prendo atto che ci sono cose che si ripeteranno sempre nello stesso modo e anche se dicessi ogni giorno, tutti i giorni, “guarda questo Tolix” la risposta sarebbe invariabilmente:
“Guardo cosa?”
“Questo!”
“Ah ok, è uguale alle sedie del bar sulla spiaggia in Abruzzo dove andavo da piccolo…”
“Ma è la prima seduta impilabile della storia del design, un'icona, realizzata in metallo della Borgogna, fa parte delle collezioni del MoMA, del Centre Pompidou!”

“Sembra proprio quello del bar di Tortoreto Lido…quanto costa? Ma che davero??? Per uno sgabello del bar Conchiglia? Mortacci…” :-):-)













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