martedì 16 marzo 2021

Spazio 1996

MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo 

Lo scorso anno, più o meno di questi tempi, meditavo cercando di dare un senso alle circostanze in cui noi tutti eravamo immersi a causa della pandemia e raccontai, in queste pagine, la storia di un noto artista concettuale che aveva sperimentato, in tempi non sospetti, una clausura volontaria in un museo di Copenaghen.

Per quelle strane giravolte del caso il mio articolo ha finito per trovare posto in una prestigiosa rivista di estetica, come punto di ripartenza per raccontare l’accaduto, stavolta con le parole e le riflessioni del protagonista.

[…] la recente scoperta di un blog che commenta e rilegge, paragonandolo alla quarantena collettiva della passata primavera, un mio lavoro del 1996, è stata per me motivo di sorpresa e attenzione perché riguarda un’opera che, seppure molto significativa sul piano personale, cadde completamente nel vuoto (così a me parve) in occasione della mostra per cui era stata realizzata. In svariate occasioni ho peraltro sostenuto che le vicissitudini di tale opera dimostrano che il dispiegarsi del senso di un lavoro artistico avviene in tempi e contesti non prevedibili, e spesso assai lontani da quelli attesi. […]

[...] L’opera d’arte, infatti, fra tutte le attività umane, è quella che accoglie la possibilità che il suo essere stata realizzata per una certa occasione o una certa mostra sia solo apparente, e accetta, anzi auspica, la possibilità che altri trovino il suo significato, il suo luogo e il suo pubblico, anni dopo, in tutt’altro contesto. Accetta e auspica la possibilità di muoversi, nella cronologia di un artista, in modo spiraliforme e ricorsivo stabilendo relazioni con le opere “sorelle” attraverso pieghe, legami e ponti simili a quelli che definiscono forma e funzione delle molecole più complesse; così facendo, contribuisce a dare valore alle precedenti, tanto quanto a ricevere valore dalle successive, in qualche modo profetizzandole. [...]

Ma come si vive -  letteralmente -  in un museo?

 […] A Copenaghen fa freddo, sulla spiaggia l’acqua del mare è più ghiacciata che liquida, ma c’è il sole e le giornate sono cristalline. Il Louisiana è un museo collocato in un luogo di una bellezza quasi impareggiabile: vari edifici di costruzioni successive nel tempo, collegati fra loro, circondano un parco molto curato, ma anche ampio, pieno di saliscendi e a tratti finanche misterioso; la striscia di mare che separa la Danimarca dalla Svezia è a pochi metri e, da qualche finestra del museo, si vede; in caffetteria ci si può sedere all’interno o in pieno sole; in una grande stanza ci sono i giochi per i bambini più piccoli; in un’altra i computer per gli adolescenti; la libreria ha spazio per sedersi, leggere, forse appisolarsi. Ci sono centinaia di persone, moltissime famiglie arrivate anche dalla vicina Malmö. La prima impressione è quella del museo di arte contemporanea, semplicemente, perfetto: bello, prestigioso, ricchissimo. Soprattutto accogliente. Meglio, vivibile. […].

L’articolo completo si può scaricare a questo link 


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