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giovedì 16 febbraio 2017

Religioni O_Stili


«In principio era il Verbo»
Giovanni (1:1-3)

Visitando a Roma la mostra di Artemisia Gentileschi (da vedere) rimango colpito da un quadro.
Giaele e Sisara, Artemisia Gentilesch
Giaele e Sisara, 1620 - Artemisia Gentileschi
Al di là delle caratteristiche artistiche mi colpisce il soggetto. Biblico, e simile ad altri più famosi, tipo la celeberrima storia di Giuditta e Oloferne. Ma questo ha qualcosa di perfino più violento ed efferato: una donna uccide un uomo (si direbbe un guerriero) piantandogli un chiodo in testa con un martello. Si intitola “Giaele e Sisara”, e inevitabilmente vado a cercare informazioni sulla storia che racconta. Si tratta di una storia del Vecchio Testamento, libro dei Giudici, che narra di come Sisara, un giovane generale nemico degli israeliti, dopo essere stato sconfitto e in fuga si rifugia presso la casa di Eber, credendolo ancora alleato del suo Re. La moglie di Eber, appunto Giaele, lo accoglie in casa, lo disseta e gli da un letto per riposarsi. Mentre dorme però gli pianta a martellate un paletto nel cranio, uccidendolo.

Fin qui una delle tante storie truculente di cui sono disseminati i nostri testi sacri. Quello che un po’ colpisce è il tradimento violento del senso di ospitalità, normalmente ritenuto sacro a quei tempi e in quelle culture. Ma su questo il testo biblico non lascia dubbi, perché per bocca di Debora (profetessa e unica donna giudice di quel libro) ci tiene a sottolineare: “Sia benedetta fra le donne Giaele [...] così periscano tutti i tuoi nemici, Signore”.

Nel leggere questo passo (che non conoscevo, non essendo certo esperto di testi sacri) non ho potuto fare a meno di pensare a quanta esaltazione e perfino istigazione alla violenza ci sia nella nostra sacra bibbia. Sono anni ormai che non facciamo altro che sentire grandi esperti che ci ripetono che il Corano è violento in sé, che nelle sue pagine si inneggia alla guerra santa. E ci crediamo, dato che la gran parte di noi non lo ha letto ma al più ne conosce frasi estratte e presentate appunto a sostegno di questa tesi.

Il fatto è che quando si cerca di obiettare che anche nella nostra Bibbia ci sono parole altrettanto “ostili”, ci si sente normalmente rispondere che non è vero. Che è tutta un’altra cosa e che indipendentemente da ciò che c’è scritto nella bibbia nei nostri catechismi non vengono insegnate queste cose.

A queste obiezioni a me verrebbe sempre da chiedere se chi dice questo ha mai assistito ad un “catechismo” islamico, ma in questo genere di discussioni di solito questi argomenti non attecchiscono.

Riflettendo su questa tematica (talmente vasta che in un post come questo posso giusto provare a dare dei titoli, per di più approssimativi) mi tornano in mente le parole di Umberto Eco (la cui mancanza già si sente e si sentirà sempre di più) uno che certo le parole sapeva usarle con la massima attenzione. Sintetizzandolo indegnamente, il grande semiologo ricordava spesso che le grandi religioni monoteiste più dedite nel corso dei secoli alla guerra e alla violenza sono quelle la cui esistenza, e la loro pretesa secolare di avere ragione sulle altre, si basa sui libri. Cioè su testi ritenuti sacri. Cioè sulla parola

Del resto uno degli incipit più straordinari di uno dei vangeli non fa altro che ribadire in modo assoluto proprio questo: In principio c’era solo la parola, e la parola era Dio.

Hai voglia a cercare altrettanta violenza nei grandi testi laici. Perfino l’Iliade, con l’orribile scena di Ettore coi talloni bucati e annodati ad una corda trascinato sotto alle mura di Troia, riesce a chiudersi con la scena straziante (una delle pagine più alte e commoventi di tutta la storia della letteratura) del vecchio Re Priamo che si umilia a chiedere ad Achille, l’uccisore di suo figlio, il corpo di Ettore per poterlo piangere ed onorare come merita. E lo spietato Achille, commosso, glielo concede. E in tutta l’Iliade, che comunque celebra il trionfo Acheo ed è, come si usa spesso dire, “la storia scritta dai vincitori”, c’è una comprensione ed una attenzione quasi maniacale per le ragioni e l’umanità dei troiani sconfitti. 

Difficile comunque, nonostante per molti laici un testo come l’Iliade possa ritenersi “sacro”, che in nome di ciò che è stato raccontato da Omero sia mai venuto in mente a qualcuno di scatenare guerre o ordinare persecuzioni o stabilire inferiorità e superiorità fra culture umane.

“Ma nei nostri catechismi non si insegna ad odiare il nemico” argomentano taluni. È sicuramente vero, e pur non avendo alcuna prova che in altri “catechismi” lo si faccia, quel che mi sento di dire è che probabilmente il punto centrale è superare i testi sacri, di qualunque religione essi siano. Probabile che la nostra cultura occidentale abbia fatto passi più avanti in questo, dando a certi testi il valore di metafora e di leggenda storica che meritano, ma sforzandosi di non prenderli più alla lettera. Probabile che in altre religioni (non solo quella islamica) questo sforzo sia ancora da fare. Ma di certo non ha senso affermare che i “nostri” (nostri di chi, poi?) testi sacri siano meno violenti e meno “barbari” di quelli degli altri. Lo sono né più né meno.

Le parole sanno essere ostili, violente. Possono uccidere. Non è retorica, possono e lo fanno da millenni. Solo con la tanto vituperata “cultura” è possibile tenerle a bada e dargli il valore che meritano impedendo loro di diventare armi letali. 
Studiandole, comprendendole, interpretandole, ascoltandole. Sapendole usare.



Questo post fa parte della campagna di supporto della community #adotta1blogger al progetto Parole O_Stili.
PanelIn nome di Dio



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martedì 9 agosto 2016

Vecchi post e lean back mode

Stiamo per rimetterci in viaggio e torneremo anche stavolta con una valigia piena di appunti, spunti, note, impressioni, suoni, colori, odori, immagini (migliaia!) da rimettere in ordine prima della prossima pubblicazione che tanto, in barba a qualunque precedente pianificazione editoriale, racconterà dei luoghi e delle storie in cui saremo incappati strada facendo.

Nell'attesa ripubblichiamo alcuni vecchi post da leggere rigorosamente in lean back mode ;-). 

Ne abbiamo scelto alcuni tra i più lunghi, scritti da me e Alessandro, molto spesso ispirati da donne straordinarie. C’è un po’ di cinema, un po’ di letteratura, un po’ di leggenda, un po’ di storia, un po’ di racconto autobiografico e naturalmente il viaggio.

Di testi lunghi e lean back mode ha parlato approfonditamente Luisa Carrada (qui il testo completo): […] Mario Garcia chiama questo nuovo bisogno di lentezza “secondo tempo”, contrapposto al “primo tempo”, il ritmo frenetico con cui leggiamo voracemente email, sms e notizie. A questi due ritmi e modalità di lettura Garcia associa persino due diverse posture del nostro corpo: il lean forward mode, che ci vede impazienti e protesi in avanti, e il lean back mode, che ci vede rilassati indietro a godere della lettura. Lo sgabello e il divano. […]

L’idea del divano, per me che ho una passione dichiarata per gli sgabelli, non ci dispiaceva affatto :-).

Per gli abstract ci siamo divertiti a studiare la fantastica newsletter del post e la rassegna settimanale della community #adotta1blogger curata da Paola Chiesa, senza alcuna seria pretesa di emulazione ma per il solo gusto del cimento. ;-)

Enjoy your trip dunque e buona lettura!:-)

Io, Esmeralda e le altre
Vertigo - La donna che visse due volte - Alfred Hitchcock
C’era una volta una vecchia scala di legno pericolante che conduceva a un sottotetto… Potrebbe trattarsi della prima inquadratura di un film dell’orrore ma qui in realtà si parla anche d’altro, si parla di verità, di fanciullezza, di libertà… non manca il brivido certo, ma per le urla meglio leggere forse quest’altro post in cui è l’intera casa a farla da protagonista. Si trova a Torino e anche qui dimora un po’ di fanciullezza, a ben cercare.

Canta il giallo: l’amaro caso della Baronessa di Carini
Castello di Carini

Chissà se anche la Baronessa di Carini era una scavezzacollo da bambina.
La sua storia straordinaria arrivata fino a noi grazie al “povero amore di un cantastorie” ferma l’immagine sulla sua tragica fine ma nulla ci dice dei suoi primi anni. E il canto che la celebra come “la più bella stella che sorrideva nel cielo, un’anima senza ombre e senza veli, la stella più bella tra tutte le stelle” pare ancora di sentirlo…

La maison au bord de mer: E.1027
E.1027 - Eileen Gray

Si vocifera che le mura del Castello di Carini siano ancora imbrattate con l’impronta della mano insanguinata della Baronessa, ma quanto a imbrattare muri per cercare di annientare lo spirito indomito di donne fuori del comune è pieno il mondo, in questo caso tuttavia l’epilogo non è così scontato. 



Off topic... 6 giugno 1944, lettera dalla Normandia
Cimitero americano - Colleville-sur-Mer

Ci vuole mezz’ora circa dalla E.1027 a Nizza. Solo una manciata di minuti per arrivare alla Promenade des Anglais. Eppure c’è stato un tempo in cui il nemico era riconoscibile, i confini del bene e del male erano netti e sembrava quasi di poter stare dalla parte giusta. Si poteva decidere di non obbedire a un comandante ma solo alla propria coscienza di persona e di donna libera: è la storia di Paulette, eroina della resistenza.

Il labirinto di bambù e altre storie
Labirinto della Masone - Parma

Da sempre il labirinto parla della rischiosa complessità del mondo, di vita, di morte, di bene e male, di perdizione e redenzione; parla anche di solitudine, di angosce e paure, di misteri occulti e segreti gelosamente custoditi.” (Iliana Borrillo, Il labirinto come simbolo del viaggio entro e oltre il limite). Ma entrare pagando un biglietto d’ingresso lo rende meno drammatico? ;-)

Appendice: dove si parla di Sir Arthur Conan Doyle, del Drunken Garden, della Valle della Paura e dei Misteri dei giardini di Compton House
The Draughtsman's Contract - I misteri del giardino di Compton House - Peter Greenaway

Alle brutte, stufi dei labirinti, si può sempre ripiegare in qualche signorile residenza tipicamente inglese cercando finalmente il riposo in un giardino purché ubriaco s'intende.







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lunedì 9 maggio 2016

#adotta1bloggerday e le domande epocali

Qualcuno penserà che siamo diventati stupidi facendo troppi test di Facebook: che personaggio del rinascimento saresti stato? Che colore ti rappresenta? Quale cattivo da film sei? A quale capo indiano assomigli?

Ma la vera domanda su cui ci siamo interrogati per giorni e giorni, da che Paola Chiesa ha lanciato l’iniziativa #adotta1bloggerday, è stata un’altra: quale sarà l’animale guida della community #adotta1blogger?

Mumble mumble…

Abbiamo escluso per ovvi motivi il Fetonte dalla coda rossa, e ci siamo accapigliati a lungo, tediando i poveri ospiti delle sfortunate tavolate a cui abbiamo partecipato, sull'opportunità di scegliere il Varano fasciato o la Moretta tabaccata

Infine, quando ormai l’arena si stava trasformando nella “Guerra dei Roses” solo più insanguinata, la nota diplomazia che contraddistingue i contendenti e il limoncello ci hanno portato a convenire che senz'altro doveva trattarsi di un animale piccolo e discreto, una cosa tipo Chiwawa ma un po' più grande: questo.




Anzitutto c'è da dire che l’elefante è bellissimo! :-)

Poi, per essere un ciccione, è molto agile. 

Ma è soprattutto un animale sociale che vive in grandi branchi solitamente guidati da una femmina

I membri della comunità si aiutano fra loro, non lasciano mai indietro gli individui più deboli o stanchi, si organizzano insieme per risolvere un problema o raggiungere uno scopo. Se un piccolo perde la madre viene adottato dalle altre elefantesse. Nonostante sia forte e non abbia predatori naturali, rischia lo stesso l’estinzione e quindi va protetto. E’ proverbiale la sua memoria, perché è un animale che usa il pensiero.

Insomma, ci è parso che gli elefanti ci somiglino abbastanza. Anche noi di #adotta1blogger siamo animali sociali, “viviamo” in un grande branco guidato da una grande donna, ci prendiamo cura dei componenti del gruppo, ci adottiamo a vicenda, abbiamo istinto di protezione, memoria, pensiero.

E poi gli elefanti si sa vivono molto, molto a lungo :-)


Elefanti






Buon #adotta1bloggerday a tutti! :-)

Anna Pompilio e Alessandro Borgogno



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martedì 5 gennaio 2016

Roma - Torino: luci e ombre di un capodanno primaverile

Il #giocodellecittà e #adotta1blogger


Quando Valeria mi ha proposto il #giocodellecittà, lei di Torino avrebbe raccontato il suo fine settimana a Roma, io di Roma avrei raccontato del mio Capodanno a Torino, ho detto “sì” senza esitazioni. 

Con Valeria ci incontriamo da quasi un anno nei consueti percorsi digitali (social, blog, il gruppo Facebook #adotta1blogger, ...) ma non siamo ancora riuscite a vederci di persona, neanche nelle due occasioni in cui eravamo presenti nella stessa città, impossibilitate dai rispettivi impegni. Così abbiamo pensato di gemellarci :-).

Valeria è psicologa, psicoterapeuta e psicodrammatista junghiana e combina la professione con la passione per le arti visive - disegno, scultura, lavorazione della ceramica - con la scrittura e il teatro.

In fondo alla pagina il link ai suoi appunti di viaggio, di seguito i miei. 

Del perché proprio Torino, ho detto in questo post.
Torino

L’albergo in cui abbiamo alloggiato ha una disposizione insensata degli spazi - bagno enorme, corridoio, ripostiglio – un terrazzo che affaccia sul fiume, un piccolo giardino, addobbato per l’inverno. Che poi l’inverno sembra quasi scomparso.

La fermata dell’autobus è poco distante e porta fino alla metro Rivoli (che io mi ostino a pronunciare con l'accento sull'ultima "i", come rue de Rivoli :-)). Il primo giorno sale una donna con passeggino e nipotina. Un fatto che sarebbe passato inosservato ai più, me compresa, se non fosse che offre il pretesto per una discussione, che si fa sempre più accesa, con un’altra passeggera, straniera dell’est. Quest’ultima afferma con forza la necessità, visto l’affollamento, di chiudere il passeggino perché la bambina è abbastanza grande mentre la nonna insiste che è ancora troppo piccola. Facile immaginare la reazione della maggior parte dei presenti, l’immediato sottolineare “straniera” e “ospite”, la sterile polemica che ne è seguita.

La bambina l’avevo guardata mentre stavamo aspettando l’arrivo dell’autobus, era adorabile, infagottata per far fronte al freddo inesistente, sorridente e curiosa. Non faccio fatica a immaginare che potesse somigliare alla figlia della donna che insisteva per far chiudere il passeggino. Quella che parlava era una madre umiliata mille volte da quella parola: ospite, la cui rabbia mascherata nella richiesta del rispetto delle norme non solo per gli stranieri ma per qualunque cittadino era profonda, dolorosa e la stava probabilmente trasmettendo ai propri figli, così come la nonna alla nipotina. “Avevo detto a tua madre che dovevamo andare a piedi” ha mormorato tra se e se. Con un brivido mi sono resa conto della reale portata di un episodio così apparentemente piccolo e quasi banale. 

Ho scoperto in questo viaggio che a Torino è più facile incrociare un Malamute, un Border Collie o un Levriero Afgano che uno Yorkshire, che la musica è ovunque e il suono sinestetico di un violino che ti accompagna lungo un portico affollato di banchetti di libri ti fa desiderare di restare, che ci sono persone che cambiano la tua percezione delle cose così che un foglio che galleggia nel fiume può diventare una poesia…

Ho scoperto che si fanno molte code a Torino ma nessuna supera il livello di accettabilità, che ho stimato per i Torinesi in circa un’ora, che la fila più divertente è quella per prendere un bicerin nello stesso posto dove lo prendeva Cavour :-).
Torino - Al Bicerin


Ho scoperto, di me, che non voglio smettere di inseguire la bellezza, che la ricerca di un cappello ha più senso che trovarlo, che sono grata a chi mi fa superare il pregiudizio e alle amiche che incontro o che, di volta in volta, mi accompagnano in ogni nuovo viaggio.
Torino - Luminarie




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