lunedì 7 maggio 2018

L’Étranger

Io sono solo un povero cadetto di Guascogna,
però non la sopporto la gente che non sogna.
(Francesco Guccini, Cirano)

Sto leggendo L’estate del ‘78 di Roberto Alajmo e mi sta piacendo molto.

A detta del mio Kindle sono solo al 36% della lettura per cui tutto potrebbe cambiare da qui alla fine del libro, ma tanto questa non è una recensione: è solo uno spunto di riflessione, come è già capitato con altri testi

In questo caso lo spunto è molto personale. Scrittura terapeutica.

Per inciso, non conoscevo Alajmo finché non mi sono imbattuta in un post di Rosario Palazzolo su Facebook. La Sicilia, i talenti, i social e le buone connessioni. Cose possibili:-).

I motivi per cui mi sta piacendo così tanto sono fondamentalmente due (poi magari se ne aggiungeranno molti altri): il primo è legato al modo in cui scrive, è  come un incantesimo, una malia, è Shahrazāde. Il secondo ha a che fare con la vita, la morte e quello che sta tra questi due poli. 

Quello che sta nel mezzo, e che mi pare Alajmo sia riuscito precisamente a mostrare, è la capacità di cambiare, è l’“evoluzione” naturale nel tempo: usciamo e entriamo in ere diverse della vita e in ognuna siamo noi, ma siamo anche diventati altro.

E quello che ci spinge fuori dall'aspirazione di un’eterna adolescenza può essere una nuova vita, un figlio, una discendenza, o la morte che con la stessa forza ci mette di fronte all'età adulta. 

Ma la morte pesa ancora di più se ci sono i figli ma non il sangue, poiché assicurare la discendenza attiene in tal caso all'immateriale, alla sopravvivenza nello spirito di chi resta e trasmette. E allora serve il racconto, occorre trasformarsi in Shahrazāde o in un cadetto di Guascogna.

Ci voli fidi puru a chiantari un pedi d’auliva”. Puru, e anzi soprattutto: visto che l’ulivo è fra le piante che richiedono più tempo per dare frutti. (L’ulivo è l’albero che ogni padre pianta per il figlio, rinunziando a un reddito immediato per investire sul futuro della propria discendenza).

Nei giorni scorsi avevo cominciato a ragionare sulla possibilità di aggiungere una nuova piantina all'uliveto che un padre lungimirante ha piantato per noi figlie. Per vari motivi ho poi valutato che non era fattibile ma la rinuncia ha un sapore amaro perché a questo embrione avevo già dato un nome, l'étranger, e qualcosa a cui diamo un nome, esiste già. 

Esiste ma non basta, poi ci vuole coraggio, mestiere, competenza, cura, impegno, fatica. Più di ogni cosa, ci voli fidi

Ulivo secolare – Valle dei Templi di Agrigento
Ulivo secolare – Valle dei Templi di Agrigento



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