mercoledì 20 aprile 2016

Io, Esmeralda e le altre

Da bambina ero una scavezzacollo. Mia madre era costantemente angosciata dall'idea che non riuscissi ad arrivare viva alla pubertà. Non che in seguito si sia tranquillizzata. Tra le tante cose che amavo fare, alcune erano abbastanza inquietanti come rincorrere lucertole tentando di staccarne la coda o legare le coccinelle con filo da cucito tipo guinzaglio; stare in bilico sul bordo di una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana urlando per far rimbombare la mia voce o tentare di vederne il fondo; usare le stecche di metallo di vecchi ombrelli come frecce di un rudimentale arco provocando ferite, fortunatamente, solo alla corteccia dei poveri alberi che usavo come bersaglio.

Ma una delle cose che proprio adoravo fare era arrampicarmi lungo i gradini di una vecchia scala di legno pericolante che conduceva al sottotetto di casa dei miei nonni, utilizzato come ripostiglio. 

Appoggiavo furtiva il piede sui primi gradini con un misto di timore e sbruffoneria, mi accertavo che non ci fosse nessun adulto nei paraggi e arrivavo in cima con il cuore in gola. La cosa che rendeva tutto questo ancora più affascinante era che la porta chiusa a chiave della soffitta, anch'essa fatta di vecchie tavole aveva alcune spaccature da cui si poteva sbirciare all'interno. Me stavo li per ore, accovacciata sul piccolissimo pianerottolo, guardando attraverso le fessure alla ricerca di tesori nascosti nella traiettoria della luce e nel pulviscolo che danzava.

Dev'essere per questo non posso fare a meno di arrampicami se c'è una scala e men che mai resisto di fronte a una porta chiusa o a una bella storia.

Le scale sono tante...

E di storie che hanno come co-protagonista una scala ce ne sono milioni di milioni di milioni.  Partiamo da qualcuna che fa venire i brividi, come quand'ero bambina. :-)

San Juan Bautista, Madeleine

Nel film Vertigo (La donna che visse due volte) di Alfred Hitchcock, Scottie (James Stewart), ex ispettore licenziato dalla polizia perché soffriva di vertigini, è incaricato da un vecchio amico di sorvegliare la bellissima moglie Madeleine (Kim Novak) il cui strano comportamento gli fa temere il suicidio. 

Scottie sorveglia la donna, la salva da un tentativo di annegamento, s’innamora di lei ma non riesce, a causa della sua “infermità”, a impedirle di buttarsi da un campanile. 

Sentendosi responsabile è colto da depressione nervosa, poi riprende una vita normale fino al giorno in cui incontra per strada la sosia di Madeleine che pretende di chiamarsi Judi ma che scopriamo invece essere proprio Madeleine, mentre la donna morta è in realtà un’altra. Si è trattato infatti di una macchinazione dei due diabolici amanti per liberarsi della moglie di lui, giocando sul fatto che l’agorafobia di Scottie gli avrebbe impedito di seguire Madeleine fino in cima al campanile. Quando alla fine Scottie capisce che Judi e Madeleine sono la stessa donna, vincendo le vertigini, la costringe a salire sul campanile e assiste alla caduta accidentale di quest’ultima.

Vertigo - La donna che visse due volte - Alfred Hitchcock
Vertigo 

Si potrebbe parlare di questo film per ben più di un post ma, pur essendo l’anno del longform:-), aggiungo solo una notazione riguardante l’effetto “distorsione” delle scale, non facilissimo da ottenere con i mezzi e la tecnologia dell’epoca. Pare che il maestro ci pensasse da una quindicina d’anni (da quando aveva girato Rebecca). Il problema venne risolto da Hitch combinando insieme il Dolly e lo zoom. Si sarebbe però dovuta mettere la macchina da presa in alto sulla scala, costruire un meccanismo per sollevarla, utilizzare contrappesi ecc. Tutto questo per la modica cifra di 50.000 dollari.

Al che ebbe l’idea di costruire un modellino di tromba di scale, appoggiarlo orizzontalmente per terra e fare la ripresa carrellata-zoom sul piano spendendo “solo” diciannovemila dollari. Quando si dice il genio… :-)



La scala “vera” si trova a San Juan Bautista, convento spagnolo situato lungo “El Camino Real”, interminabile teoria di missioni francescane (e di campane sante) che si snoda in un percorso continuo di quasi mille chilometri da San Francisco fino al confine con il Messico. Il posto è notevole e ne abbiamo parlato più diffusamente in questo post.

Castello di Montebello, Azzurrina

Poi c’è Azzurrina. Storia abbastanza inquietante e registrazione di suoni altrettanto inquietanti anche se potrebbero benissimo essere rumori di sciacquoni registrati nei bagni di un autogrill della Milano-Laghi.

Questo è più o meno il sintetico resoconto di Alessandro successivo alla visita guidata al Castello di Montebello nel lontano 2003 dove ci vennero minuziosamente descritte le tecniche di difesa interna del maniero e l’origine storica del termine “credenza”. 

Ricordo che rimasi alquanto delusa nell'accorgermi che la luce blu che illuminava la scala, e l’angolo dove la bimba pare fosse scomparsa, era solo il riflesso di un faretto alogeno da 300 Watt.

La leggenda di Azzurrina è tuttavia affascinante per svariati motivi, non ultimo perché fa parte della tradizione orale e solo intorno al XV secolo un parroco della zona l’ha messa per iscritto assieme ad altre storie mitologiche.

La storia vuole che Azzurrina, figlia di Ugolinuccio o Uguccione di Montebello, feudatario di Montebello di Torriana, fosse nata albina ma poiché la superstizione popolare dell'epoca collegava l'albinismo con eventi di natura diabolica, la madre decise di tingerle i capelli di nero. 

Considerando la tecnologia delle tinture per capelli del 1300 non propriamente all'avanguardia, l’unico effetto che ottenne fu una colorazione “azzurrina” da cui il soprannome della poverina, che di nome faceva invece Guendalina o Adelina. Il papà Uguccione, preoccupato delle dicerie e nell'intento dei proteggerla dalle malelingue e dal pregiudizio, ne fece di fatto una reclusa, sorvegliata a vista da due guardie finché una sera, mentre imperversava un tremendo temporale e la bambina giocava con una palla di stracci si consumò la tragedia.
Scala del Castello di Montebello
Scala del Castello di Montebello

Pare che Azzurrina stesse inseguendo la sua palla rotolata lungo le scale che portavano alla ghiacciaia sotterranea quando lanciò un urlo terrificante. Le guardie accorsero dall'unico ingresso ma la stanza era vuota, né la bambina né la palla furono mai più ritrovate e da quell’ episodio funesto ogni cinque anni, in concomitanza con il solstizio d'estate, c’è chi giura che le urla della sfortunata piccina riecheggiano ancora nel Castello.
Castello di Montebello - Azzurrina
Azzurrina

Notre Dame de Paris, Esmeralda

In ogni città della Francia esisteva, nel medioevo, un rifugio dove la giustizia umana non poteva essere esercitata. […] Questi luoghi d'asilo, in mezzo al diluvio di leggi penali e barbare giurisdizioni che inondavano la città, erano delle specie di isole che si innalzavano al di sopra del livello della giustizia umana. I palazzi del re, le dimore dei principi, soprattutto le chiese avevano diritto d'asilo.
A Notre Dame, per questo c'era una cella collocata in cima alle navate laterali, sotto
i contrafforti, di fronte al chiostro, proprio nel punto in cui la moglie dell'attuale custode delle torri si è ricavata un giardino, che sta ai giardini pensili di Babilonia come una lattuga sta a una palma, come una portinaia sta a Semiramide. È qui che Quasimodo, dopo la sua corsa sfrenata e trionfale sulle torri e per le gallerie, aveva deposto l'Esmeralda.(Victor Hugo, Notre Dame de Paris).

Quasimodo nasconde dunque Esmeralda nella cella della Cattedrale di Notre Dame da cui si accede per mezzo di una scala ornata da esili colonnette ed è uno dei pochi posti riconoscibili con certezza dalle descrizioni del romanzo, una struttura originale a cui Victor Hugo ci si è evidentemente ispirato.
Notre Dame de Paris - La logette d'Esmeralda
Notre Dame de Paris - La logette d'Esmeralda

Anche Esmeralda, come Azzurrina e la stessa Judi/Madeleine è insieme vittima del pregiudizio e dell’amore appassionato: per un uomo o di un uomo, di un padre nel caso di Azzurrina, di chi rinchiude credendo di proteggere.

Eppure tutte, infine, riscattano se stesse nell'ultimo atto, pagando con la vita le loro scelte di verità, fanciullezza e libertà.

Ogni civiltà comincia con la teocrazia e finisce con la democrazia. Questa legge della libertà che subentra a quella dell'unità, è scritta nell'architettura, scrive Hugo.

Per me la libertà è scritta nell'architettura di una scala e in quei gradini sospesi verso l’ignoto.


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