sabato 29 novembre 2014

Piccoli spazi, grandi manovre

Chi non si è trovato invischiato, almeno una volta, in ristrutturazioni, traslochi e simili?

E quanti di voi possono dire di aver ricevuto il materiale ordinato senza ritardi e disguidi? Rullate i piedi, come gli ospiti in studio del ruggito del coniglio, in caso affermativo.
Ricordo ancora perfettamente, benché sia passato qualche anno, le lunghe attese di un frigorifero che non arrivava, scrutando la strada dal balcone mentre scorrevano le ore, si accendevano le luci dei lampioni e l’operatore del call center continuava a dire “sono partiti, stanno arrivando, dovrebbero essere in zona, tra 10 minuti sono sul posto…”.
Memore dell’esperienza, prima di confermare l’ordine d’acquisto del nuovo divano, mi sono assicurata (con prove testimoniali e telefonate registrate) che la consegna avvenisse con le modalità concordate e, soprattutto, che le misure fossero compatibili con quelle delle porte da cui doveva entrare (“signora non si preoccupi, glielo portiamo smontato”). Ma quanto può essere smontabile un qualunque oggetto non Ikea?
Così dopo aver passato in rassegna, con un brivido di apprensione e facendo gli opportuni scongiuri, tutte le parti rimovibili dall'ingresso al salotto (porte, termosifoni etc.) mi metto l’anima in pace e aspetto...Con mia sorpresa e in anticipo, poco tempo dopo mi comunicano che sono pronti per la consegna (vedi a volte il pregiudizio…).
Il fatidico giorno mi piazzo sul solito balcone alle 14.30 del pomeriggio e, più o meno quattro ore dopo dopo e un discreto numero di telefonate al reparto “magazzino e spedizioni” (“sono partiti, dovrebbero essere in zona” ecc.) arriva il furgone con il prezioso carico e si ferma nell'unico posto disponibile di tutta la strada, il parcheggio per disabili.
Ora, chi abita in un appartamento al secondo piano senza ascensore in una zona popolata di una grande città, e non in una villetta indipendente con giardino, non dovrebbe comprare mobili di nessun genere, tanto meno un divano.
I trasportatori sono in tre e quello che sembrerebbe essere il responsabile fa una veloce ricognizione, lamentandosi subito delle esigue dimensioni del cancello pedonale, al che chiedo, ma non è smontato? ricevendo in cambio un’occhiataccia che diceva chiaramente “la prossima volta vada da Ikea”…
Gli altri due sollevano alcuni pacchi (le chaise longue estraibili, ipotizzo) e arrancano con il pesante fardello su per le scale fino alla porta di casa, esaminando con una certa preoccupazione le dimensioni di quest’ultima ma, prima che possano formulare qualunque obiezione, li informo carinamente che bisogna far uscire il vecchio divano per poter far entrare l’altro… Il capo nel frattempo ha spostato il furgone dal parcheggio per disabili al passo carrabile e mentre arriva trafelato e si affaccia dal balcone per tenere sotto controllo il mezzo in divieto di sosta, sentenzia: non entrerà mai.
Optando per una strategia non belligerante ignoro la fosca previsione e preparo un caffè.
Riprendono le operazioni di scarico.
La “struttura” restante supera indenne il cancello pedonale e va ad incastrarsi nel primo pianerottolo, con uno dei trasportatori incuneato tra l’enorme pacco e il muro, mentre il secondo solleva il divano con una mano e con l’altra tiene ferma la lampada a sospensione (la scelta dell’illuminazione nelle scale è stata dettata più dall'estetica che dal valore pratico, ma onestamente non si poteva utilizzare una plafoniera nei punti in cui il soffitto disegna un arco!). Definitivamente intrappolati, in equilibrio precario, impossibilitati a salire e a scendere, i due tastano il divano alla ricerca di altre parti smontabili finché, finalmente, riescono a sfilare i cuscini dello schienale e riprendono faticosamente la salita.
La scena si ripete quasi identica per ognuno dei pianerottoli, l’ingombrante fardello supera infine incredibilmente la porta d’ingresso e scivola dal corridoio al salotto che neanche la testimonial delle Dietorelle. Quando si dice… J

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venerdì 21 novembre 2014

Il Divano? Questione di metodo

L’acquisto di un nuovo divano è una scelta che richiede, superata una certa soglia di prezzo, un processo di acquisto un po’ più articolato rispetto ad aggiungere un servizio da 18 di calici panciuti, e un infusore per il tè, nel carrello di Ikea.

Ma abbiamo veramente bisogno di un nuovo divano?
La domanda è meno peregrina di quello che può sembrare e indagare il vero, intimo bisogno da soddisfare e non quello che il marketing globale ci impone è solo questione di metodo.

Assodato dunque dopo serio e intimo raccoglimento, che il vecchio Ektorp ha fatto il suo tempo e che un nuovo divano è assolutamente necessario per la vostra e altrui felicità domestica, se siete nella situazione della sottoscritta, alle prese con due rappresentanti del genere maschile che considerano il divano un’appendice delle proprie articolazioni da cui riescono a far volare pigiami appallottolati fino al letto della cameretta, con un perfetto tiro a canestro, superando due porte disallineate e un pezzo di corridoio, mentre simulano una folla che applaude entusiasta; se alla vostra proposta di essere dinamici il sedicenne dinoccolato semi sdraiato risponde, con un colpo di vero genio e senza staccare occhi e dita dalla Play, noi siamo divanici….; se neanche lanciare gridolini entusiasti per quel gran fico di Garcia, durante una partita della Roma, mentre attraversate il salotto per stendere il bucato in balcone, scompone gli abitanti di Ektorp concentrati sulla tenuta del terreno di gioco in caso di pioggia … allora il vostro divano è il centro di un mondo che va preservato e un nuovo divano non solo è necessario, è indispensabile. 
Superata così brillantemente la fase della decisione d’acquisto con annesse motivazioni, il passo successivo è scegliere il modello.

Pure se avete già chiaro quello che ci vuole per la vostra casa, conviene sempre fare un minimo di analisi, stilare i requisiti (rosso-linee pulite-chaise longue-piedini-sfoderabile-stile West elm) e definire un budget.

Si passa quindi alla fase di ricerca di mercato con coinvolgimento di amici e parenti, approfittando magari di una Fiera del Mobile per mandarli in avanscoperta, muniti dell’immancabile lista di requisiti e di un numero imprecisato di foto di modelli “stilosi” scovati su Pinterest ma assolutamente introvabili nel nostro paese.
Se poi vi rendete conto che una (sola) Fiera del Mobile (benché con un buon livello di offerta) non ce la può fare a soddisfare TUTTI i vostri requisiti (rosso-linee pulite-chaise longue-piedini-sfoderabile-stile West elm) restano sempre gli altri 15.000 metri quadri di esposizione a cui vi rimanda la hostess dopo avervi inutilmente mostrato l’intero stand del produttore e anche quello della concorrenza.

Se infine davanti ai vostri occhi-laser, continuano a sfilare uno dopo l’altro divani di ogni foggia e colore e voi continuate a scuotere la testa con cipiglio da blogger navigata e giusto quel filo di puzza sotto il naso per i 10 lettori fissi (parenti stretti compresi), riprendete la lista dei requisiti e chiedetevi: perché i piedini? E se la risposta è “per spolverare sotto il divano” eliminate immediatamente il requisito al grido di “esci da questo corpo sorella!” e portatevi a casa un nuovo divano rosso-non sfoderabile-senza piedini-doppia chaise longue estraibile e libreria incorporata!! :-)

Inspiration mood - RED...



Inspiration mood - RED

P.S. Portatevi a casa è un’affermazione impegnativa, sulla consegna...nel prossimo post! Stay tuned:-)

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domenica 16 novembre 2014

Chi spolvera?

La superficie di qualunque "cosa", sia essa un oggetto o un luogo, è intaccata dal tempo, riposa nel tempo. Viene corrosa, sporcata, impolverata in ogni istante.
Sono la sua caducità e la sua fragilità che la fanno vivere nel trascorrere delle ore, dei giorni, degli anni.


Roberto Peregalli, I luoghi e la polvere

Avete mai pensato a chi influenza veramente le scelte di arredamento? Gli Interior Designer direte voi, i blogger direte voi, le riviste di arredamento, i media, Pinterest!
Invece no. È la polvere.
Non mi ero mai soffermata troppo sul problema finché mia sorella, con cipiglio perentorio dichiarò un giorno: a casa tua ci sono troppi quadri!
Incerta se tanta indignazione riguardasse una sua qualche preferenza verso uno stile minimalista-talebano o ne facesse una questione di gusto espositivo (l’Ultima cena, ci era sembrata perfetta nel tinello, avevamo anche posizionato un faretto sul frigo per illuminarla dal basso, forse era la riproduzione di Giuditta e Oloferne a infastidirla...) provai ad indagare meglio il suo pensiero, certa di trovarvi prima o poi una profondità che al momento facevo fatica a cogliere.
Poi aggiunse “a casa mia non ci saranno quadri, né piante, né tappeti… perché fanno polvere”.
La polvere...
Ognuno di noi ha un metodo più o meno sperimentato e infallibile, spesso tramandato da generazioni di guerriere armate di piumino e panno elettrostatico, per contrastarne l’invadenza. Tempo fa, in una nota trasmissione televisiva pomeridiana si è avanzata l’ipotesi che con lo stendino del bucato in casa si producesse meno polvere e per tutto l’inverno abbiamo steso la biancheria in salotto ma, a onor del vero, senza risultati apprezzabili…
Così, dopo attenta riflessione e svariati approfondimenti sul tema (provate a cercare su Google “spolverare”…) abbiamo individuato poche semplici precauzioni che raccomandiamo a chi vuole sconfiggere per sempre l’odiato nemico:
·         tenete sempre le finestre sigillate in qualunque condizione atmosferica, compresi i mesi estivi, anche se avete casa ad Arzachena
·         acquistate rigorosamente mobili muniti di ante e scordatevi lo stile “open” tipo libreria Billi di Ikea
·         se proprio volete distrarvi dal pensiero di quadri, tappeti o librerie a vista occupatevi del bagno, magari sostituendo il vecchio lavandino con un enorme tino di cristallo (fatto fare su misura da un maestro vetraio) con rubinetto a cascata, così alle brutte, se insieme alla polvere ci finisce dentro un seme di mangrovia l’effetto giungla è assicurato.


Per me, che le macchie di dentifricio sul vetro del lavandino disgusterebbero più di qualunque pulviscolo e che alla parola “polvere” associo “azzurro” e non acari, prevedo di continuare con tappeti, quadri, piante e suppellettili varie, anche perché, nella suddivisione domestica dei compiti, la voce “spolverare” non è nella mia lista… ;-)





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sabato 8 novembre 2014

New York: il grigio per i vivi, il verde per i morti

Fra cento anni uno studioso della preistoria web forse radunerà queste pagine e ci dirà con esattezza chi eravamo e cosa diavolo stavamo facendo da queste parti. Noi nel frattempo riposeremo in qualche posto meno affascinante di Highgate.
Massimo Mantellini, La vista da qui 

Nell’autunno del 2011 ero a New York con il mio compagno, tappa conclusiva di un viaggio “on the road” che aveva toccato diversi stati (California, Utah, Arizona, Nevada).

Approdare nella grande mela dopo settimane di Highway senza fine e paesaggi sconfinati (dalle valli glaciali dello Yosemite all’azzurra sinuosità delle coste pacifiche del Big Sur, passando per le aperture sterminate del Grand Canyon e l’accecante inafferrabilità della Death Valley…) ci ha causato qualche attimo di smarrimento (quell’ansia sottile e misconosciuta di uscire di casa e farsi massa, tutt’uno con quel microcosmo dinamico, mosso da un ritmo invisibile e convulso. Nasceva la folla...[i]) ben presto mitigato dal riconoscere la metropoli di tanti libri, film, spot pubblicitari, serie televisive... (tutti hanno visto new York senza averci mai messo piede...[ii]).

Una mattina presto, passeggiando per Manhattan, ci siamo imbattuti in quel piccolo strano gioiello che sembra richiamare, proprio all'imbocco di Wall Street, i limiti umani di fronte all'apparente onnipotenza del denaro, Trinity Church, un'oasi di pace nel caos del Financial District, reso ancora più indimenticabile dal minuscolo cimitero storico che lo circonda.

A New York il grigio è per i vivi, il verde per i mortifu la considerazione del mio compagno. Solo i pensieri nati camminando hanno valore, scriveva Nietzsche, ma anche senza scomodare i padri della filosofia, mi sembrò una riflessione di illuminante profondità…

Continuammo la passeggiata ma non potevo fare a meno di ripensare al cimitero della Trinity Church, a quanto fosse diverso dai moderni loculi multipiano dove il grigio-calcestruzzo abbonda e il verde è relegato in modeste aiuole, confuse e poco curate.



Non c’è più spazio nelle metropoli. E non c’è più tempo, perché il tempo è denaro.

Non c’è più spazio per panchine all’ombra dei cipressi e non c’è più tempo per passeggiare fino alla tomba del proprio congiunto per sfiorarne la superficie e il ricordo.

E allora eccoci qui, stipati, anche da vivi, in scatole di cemento livido dove non c’è più posto neanche per il ricordo della vita dopo la morte.





[i] Roberta Scorranese, Dalle tele di Camille Pissarro ai racconti di Edgar Allan Poe. Il fascino sottile e inquietante della moltitudine moderna
[ii] Corrado Augias, I segreti di New York

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sabato 1 novembre 2014

Scuola, casa, orde di uccelli assassini

Non potevamo parlare di case nel cinema senza accennare a un edificio che da solo ne rappresenta l’essenza stessa, la scuola di Bodega Bay (Gli Uccelli, 1963).

Hitchcock era tanto fantasioso nelle storie e nelle trovate visive, quanto rigoroso nella topografia e verosimiglianza dei luoghi. Abbiamo potuto verificare di persona che le missioni spagnole di San Francisco de La donna che visse due volte esistono e sono collocate proprio lì dove il film le racconta. Il tragitto dal pub alla casa di Covent Garden in Frenzy è esattamente quello e dura tanto quanto la scena del film lo fa durare.
E Bodega Bay, piccola cittadina della costa californiana inspiegabilmente attaccata da stormi di uccelli feroci e spietati esiste davvero.
Si trova a qualche decina di chilometri a nord di San Francisco, ed è realmente un piccolo paese chiuso in una piccola baia e un punto di passaggio di un gran numero di specie di uccelli. E poco più all’interno, nell’ancora più piccolo villaggio di Bodega, esiste ancora una piccola casa su un rialzo del terreno, vicino ad una chiesetta.
Ora è una casa, molti anni fa era una scuola

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