giovedì 24 settembre 2015

Il verde altrove… Gesù giardiniere

Ammetto che l’idea di un Cristo giardiniere mi consolava non poco, soprattutto in una domenica mattina alle prese con la potatura estiva di un rigoglioso Rincospermum e una Cortaderia aggrovigliati l'uno all'altra come le stirpi di Cent'anni di solitudine
Specie poi se ci si dimentica di indossare una camicia a maniche lunghe. 

Dopo qualche ora di lavoro, con i capelli imbiancati dalla lanugine dei pennacchi dell'Erba della Pampa, appiccicaticcia di liquido gelatinoso, ricoperta di polvere e graffi, bofonchiando sull’acquisto immediato di una super motosega e minacciando di ridurre ogni velleità di verde urbano alla gestione di una bacheca su Pinterest, di cui avevo già anche il nome: “Je suis au jardin”; mentre Vita Sackville-West si allontanava velocemente dall'immaginario dei presenti sostituita dal primitivo operaio in cui mi stavo trasformando, ho visto negli occhi di mia madre, che casualmente assisteva alla scena con la fronte aggrottata e senza quasi proferire parola, la bambina che tornava a casa da scuola trafelata, insudiciata e ricoperta di insetti morti per essersi infilata nelle cunetteHa chiesto solo, allontanandosi, se avevo camicie da stirare. :-)

Noi ortolani siamo fatti così. Se non altro, possiamo dire di essere in buona compagnia. 

La nostra piccola aiuola è il paradiso terrestre, l’hortus conclusus ricco di fiori e di aromi del Cantico dei Cantici di Salomone, la città della Gerusalemme celeste dell’Apocalisse senza strade e piazze ma con il grande Albero della vita, è il giardino di Giuseppe d’Arimatea dove Gesù risorto era apparso sotto l’aspetto di giardiniere a Maria Maddalena

Maria, invece, se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, lì dov'era stato il corpo di Gesù.
Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l'abbiano deposto».
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù.
Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l'ortolano, gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò». (Giovanni 20, 11-15).

E mentre me ne stavo abbarbicata sull'ultimo gradino di una scala pericolosamente in bilico, continuando imperterrita a potare-attorcigliare-prendere-la-mira e lanciare pallottole di materiale di potatura e rami, dispensando occhiatacce e tardivi “attenzione!” al resto della famiglia (che avrebbe preferito andare a stirare le camicie con mia madre) affiora improvviso, in mezzo a pensieri altrettanto ingarbugliati, uno dei simboli più intatti della spiritualità monastica (l’abbazia di Fontaney) e mi rendo conto che averci passato un pomeriggio intenta ad osservare una dame au giardin,  amabili signore sedute a chiacchierare nel crepuscolo imminente e un topolino di campagna occupato a trasportare nella sua tana una piccola mela selvatica, forse non basta per dire di aver trovato l’Anima Mundi.

Borgogna, Montbard - Abbazia di Fontaney


Borgogna, Montbard - Abbazia di Fontaney

Borgogna, Montbard - Abbazia di Fontaney

Borgogna, Montbard - Abbazia di Fontaney

Borgogna, Montbard - Abbazia di Fontaney

Borgogna, Montbard - Abbazia di Fontaney

Borgogna, Montbard - Abbazia di Fontaney

Borgogna, Montbard - Abbazia di Fontaney
Borgogna, Montbard - Abbazia di Fontaney



Su questo tema leggi anche:
Il verde? Altrove…Piet Oudolf 


martedì 15 settembre 2015

Storie storte e consolanti utopie


La cover precedente di questo Blog era composta da diversi scatti fatti in momenti e luoghi diversi, tra cui l’interno di una casa cubica ad Amsterdam e un hotel a Flagstaff, sulla Route 66.


La prima cover del Blog
La prima cover del Blog

La seconda immagine a sinistra, la casa cubica, voleva essere una dichiarazione di intenti: qui raccontiamo storie storte, episodi non lineari, frammenti di rottura con il passato, l’ambizione e la sofferenza di chi sperimenta e sovverte. 

L’ultima a destra era invece legata ad un episodio specifico. 

Nel 2011 durante un viaggio in America (arrivo a San Francisco, partenza da New York e in mezzo 4 o 5 Stati on the road) ho dormito pochissimo per quasi tre settimane. Una mattina, sveglia presto come al solito, esco sul ballatoio dell' hotel attratta dal silenzio delle prime luci dell’alba e vedo comparire in lontananza i vagoni di un treno merci. Afferro la telecamera e comincio a filmare. Per alcuni infiniti minuti fisso sulla pellicola vagoni e vagoni che scorrono lentamente, fermando per sempre il ricordo di un’America dall’altra parte della strada, con i suoi binari e i treni che sembrano non finire mai.


L’ultima immagine è dunque una speranza: di afferrare il treno che passa, lo spazio eterotopico, l’immaginazione, l’avventura, i corsari. 

Una speranza che riguarda ancora una volta il paesaggio: un fil rouge che parte dalle Highway di un’America sconfinata per  arrivare alle distese interminabili di vigneti della Borgogna o di lavande della Provenza ma dopo molti km in terra straniera la sensazione, dolorosa, è di un treno che questo Paese, dalle Alpi alle Isole, ha perso mille volte.

Rapisce la volontà di conservazione, il recupero capillare delle tradizioni, la continuità nella manutenzione e nella cura del territorio, una buona rete autostradale dotata di servizi efficienti, strade che corrono in mezzo ai campi allineati, casali coperti di rampicanti o circondati di cipressi, filari di viti, alberi di frutta. In lontananza, i tetti di un villaggio, un ponte su un canale, la ruota di un mulino. E nessun capannone per il bestiame. 

Per chi, come me, conserva negli occhi l’abitudine al cemento, ai recinti, alle bottiglie di vetro rotto incastonate nei muri perimetrali delle ville immerse in un silenzio squarciato solo dai cani da guardia, le travi di una casa medievale, un’aiuola di coleus multicolori o il muschio che copre la fontana al centro di una piazza, stritola lo stomaco in una morsa amara. 

Inseguo utopie, mi dico, un attimo prima di far scattare il clic della macchina fotografica.













mercoledì 9 settembre 2015

Il Blog non è un prodotto di massa: considerazioni semiserie intorno al target

Prefazione di Simone Bennati


Simone Bennati, Blogger ed esperto di grafica, web design, comunicazione online. 
Quando non è impegnato nella realizzazione di siti web e prodotti grafici, si dedica alla scrittura. 
Il suo Blog è bennaker.com 


Quando si decide di aprire un blog, le domande che affollano la mente del futuro blogger sono tante. Decine e decine. Tutte ugualmente importanti, nonché tutte figlie di un'ovvia inesperienza.
All'inizio si cerca sempre di darsi un indirizzo, ovvero di cercare di fare le cose nel miglior modo possibile, qualsiasi esso sia, ma col tempo ci rende spesso conto che alcune domande non hanno risposta e che barcamenarsi tra un dubbio e l'altro è parte integrante del lavoro di un blogger. 
D'altronde, se non esistessero le domande, che si scriverebbe a fare?
Tra gli interrogativi più ingombranti nella mente di un blogger, entrano di diritto quelli che riguardano la figura del lettore. Dal semplice “Per chi scrivo?” al più elaborato “Chi mi legge, cosa si aspetta da me?”, il lettore è quasi sempre protagonista delle riflessioni di un blogger ed è attorno alla sua figura che, volenti o nolenti, finisce con il ruotare l'intera attività di scrittura.
E' vero: in moltissimi casi si inizia a scrivere in primis per se stessi, ma già dal primo feedback, specie se positivo, l'ago della bilancia comincia lentamente a spostarsi verso il lettore, trascinando con sé l'attenzione del blogger. Un'attenzione che, non ci sarebbe neanche bisogno di specificarlo, porta alla formulazione di nuove domande. 

In questo post, Anna Pompilio si è posta LA domanda, ovvero: Chi è il mio lettore?
Mi piacerebbe molto riuscire a fornirle una risposta, magari proprio attraverso questa breve prefazione, stravolgendo così la naturale sequenzialità delle cose, ma, come anche voi che vi apprestate a leggere avrete modo di constatare, tracciare un identikit di chi si trova dall'altra parte del monitor è di fatto impossibile ed il motivo è molto semplice: le parole vanno da chi le lascia entrare, senza distinzione di età, sesso, etnia, cultura e quant'altro.

E forse è proprio questa impossibilità di definire con precisione il proprio target a rendere quello del blogger un lavoro affascinante e generoso in termini di stimoli.

E dunque, tu che leggi, chi sei veramente?



Anna Pompilio





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