Cara mamma, ti scrivo questa lettera per raccontarti una storia.
È una storia che inizia nel nord della Francia all'alba di martedì 6 giugno 1944, il giorno della più grande invasione della storia.
È il giorno dello sbarco in Normandia.
La zona scelta per lo sbarco comprendeva cinque spiagge, contrassegnate con nomi di fantasia: Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword.
L’ordine di battaglia prevedeva da 15 a 16 Divisioni per ciascuna delle due Armate alleate (Prima Armata americana e Seconda Armata britannica). L’immensa flotta comprendeva più di 2.700 navi di ogni tipo su cui erano caricati 2.500 mezzi da sbarco.
In Normandia, all'alba di martedì 6 giugno 1944, sbarcarono 8.000 carri armati, 12.000 aerei, 160.000 uomini che avevano con se l’equipaggiamento militare e una lettera per i propri cari, da recapitare in caso di morte.
Quel 6 giugno 1944 il campo di battaglia in Normandia di morti, feriti o dispersi ne contava 10.000.
Il 25 agosto 1944 fu liberata Parigi.
Il 25 agosto 1944 di morti se ne contavano quasi 54.000, 19.000 i dispersi, oltre 150.000 i feriti.
Cara mamma…
Ho molto pensato, dopo aver visto quei luoghi, a quei ragazzi e alle loro madri chiedendomi se una figlia che non è mai stata madre può sentire, intero, il dolore di una perdita così grande.
Ho camminato piano in mezzo alle 10.000 croci del Cimitero di Saint Laurent ripetendo in silenzio i loro nomi: Houston, Jesse, Wilbur, Albert, Ray… Troppi per ricordarli tutti, troppi per dimenticare.
Oggi, uno di quei nomi lo affido alla mia memoria, nella speranza di custodirlo per sempre nel mio cuore, in ricordo del sangue di molti versato per la libertà e per la liberazione dagli oppressori.
Cara mamma, la storia che ti racconto ha il volto di una giovane donna.
Si chiamava Paulette Duhalde.
Miei genitori adorati, perdonatemi di aver pensato al mio paese prima che a voi…
Nel 1941 Paulette Duhalde ha 19 anni, vive a Flers un piccolo comune della Bassa Normandia e fa parte del Servizio Informazioni dei servizi segreti militari.
Paulette reperiva notizie sui movimenti delle truppe tedesche e la posizione dei loro mezzi grazie ai numerosi contatti con le ferrovie e fu tra coloro che fornirono ai servizi di intelligence delle forze armate le informazioni, accurate e tempestive, che permisero il successo dello sbarco in Normandia.
Paulette possedeva il gusto del rischio, un coraggio silenzioso, una volontà di ferro.
Il 10 dicembre 1942 Paulette fu arrestata dalla Gestapo con l’accusa di spionaggio e imprigionata nella prigione di Fresnes alla periferia di Parigi, in isolamento completo, con la sola concessione di un piccolo vangelo di S. Matteo donato dal cappellano che andava a visitarla e a portarle la comunione.
Resterà cinque mesi in una cella stretta, illuminata da un lucernario di vetro smerigliato e chiusa da una porta con uno spioncino. Lungo la parete di sinistra, un letto da campo largo 60 centimetri. A destra, un lavandino, due tavole, un calorifero.
Verrà processata insieme ai suoi compagni, nella stessa prigione di Fresnes.
Alla fine del processo il colonnello tedesco che lo presiedeva disse a Paulette: “Mademoiselle, nella mia qualità di ufficiale tedesco, nemico della Francia, io vi condanno, ma come soldato, mi inchino al vostro atteggiamento e patriottismo. Vorrei che gli uomini qui presenti avessero la vostra stessa dignità.”
Condannata a cinque anni di reclusione resterà a Fresnes fino al 14 giugno 1944, quando lascerà il suolo francese insieme ad altre centinaia di detenute per essere deportata in Germania, destinazione sconosciuta.
Mentre la battaglia in Normandia continua, i convogli di prigionieri provenienti da Fresnes arrivano nella prigione di Kottbus, nella regione del Leipzig.
Paulette vi resterà fino a novembre dello stesso anno quando verrà trasferita, dopo un viaggio interminabile nei vagoni merci, nel carcere femminile di Ravensbrück.
Ravensbrück, un campo di circa 60 ettari di proprietà di Himmler, poteva ospitare fino a 12.000 detenute.
Nel novembre 1944 ne contava 63.000 di ogni nazionalità.
A Ravensbrück c’erano due forni crematori, una camera a gas, baracche numerate dipinte di verde con letti a castello di tre posti. Si parlavano tutte le lingue europee in una babele estenuante di confusione e rumore, sovraffollamento, fame, scabbia, dissenteria, pulci, cimici, pidocchi… alla minima infrazione, ma spesso senza motivo, bastonate o frustate.
Paulette si ammalò gravemente e trascorse gli ultimi giorni nel “blocco 8” con altre centocinquanta donne malate, ammassate in due per branda.
La sua compagna di letto dirà: “gli ultimi tempi dovevo curarla come un bambino, lavarla, dargli da mangiare. La sera mi inginocchiavo vicino al suo letto e recitavamo insieme le preghiere. La mia piccola figlia adottiva era pura e le sofferenze orribili del campo avevano abbellito la sua anima”.
Muore la notte tra il 22 e il 23 aprile 1945. Aveva 23 anni.
Ai genitori una compagna scrisse: siate fieri di lei, è stata una grande francese, un buon soldato, è morta nel campo di battaglia dei grandi.
Cara mamma…
Il 15 agosto di qualche anno fa ho visto per la prima volta il sorriso di Paulette nel museo dello sbarco ad Arromanches. La didascalia della foto diceva: Paulette Duhalde, 1921-1945, eroina della resistenza.
Paulette non ha la sua croce insieme agli altri soldati in quei cimiteri della memoria, perché non era un soldato. Non obbediva ad un comandante né a degli ordini, ma solo alla sua coscienza di persona e di donna libera che nessuno avrebbe mai potuto imprigionare. Per questo per me è come se anche lei stesse lì, insieme a tutti gli altri morti per combattere e regalare a noi la Libertà.
Per me Paulette Duhalde, 1921-1945, eroina della resistenza ha il volto del sangue versato e dal 15 agosto 2013 è, per sempre, nel mio cuore.
Fonti:
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