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giovedì 19 gennaio 2017

Rubens e il bandolo della matassa

Le donne provano la temperatura del ferro da stiro toccandolo. Brucia ma non si bruciano. Respirano forte quando l’ostetrica dice “non urli, non è mica la prima”. Imparano a cantare piangendo, a suonare con un braccio che pesa come un macigno per la malattia, a sciare con le ossa rotte. Portano i figli in braccio per giorni, in certe traversate del deserto, dei mari sui barconi, della città a piedi su e giù per gli autobus. Le donne hanno più confidenza col dolore
(Concita De Gregorio, Malamore)


Mia nonna Restituta è nata nel 1927 in un piccolo paese rurale del centro Italia.

Un paese povero, sottosviluppato e analfabeta del primo dopoguerra.

Seconda di sette tra fratelli e sorelle, è sempre stata una donna di eccezionale modernità ed altrettanto cieco bigottismo.

Bellissima, grandi occhi verdi, lunghi capelli neri raccolti in trecce e chignon, giunonica e prosperosa quanto bastava per metterla fin da subito nei guai, si innamora, poco più che adolescente, di un ragazzo più grande e, colpa ancora peggiore, “di passaggio”.

Mia nonna Restituta ha una sorta di “solco” sulla schiena, ancora molto evidente nonostante vada ormai per i novanta, dovuto ad un’operazione subita quando era molto giovane. Il padre aveva picchiato così forte che avevano dovuto portarla in ospedale.

Qualche volta mi capita di aiutarla a fare il bagno. Strofino più forte in quel punto, quasi potessi lavare via il dolore e l’onta.

Arriviamo ad Anversa in treno, una fredda mattina di novembre.

Attraversiamo velocemente il Grote Markt, cercando riparo dal vento nelle navate di Nostra Signora. La Cattedrale di Anversa, esempio fiammeggiante di Gotico Brabantino, conserva al suo interno un trittico di Peter Paul Rubens: L’elevazione della Croce.

Il dipinto è molto grande, incombe quasi nella parte centrale, ma è da uno dei pannelli laterali che non riesco a staccare lo sguardo e non a causa dell’influenza degli artisti italiani del rinascimento, ma per il gruppo di donne che raffigura in primo piano. 

Le donne della pala di sinistra diventano improvvisamente me, mia nonna, le mie sorelle, le mie amiche, mia madre, tutte le donne del mondo. Annaspo di fronte al mio disagio, alla grandezza dell’artista e alla consapevolezza di quanto è lunga la strada davanti e dietro di noi.

Noi donne piegate o in ginocchio, in adorazione. Noi che offriamo il seno per sfamare il figlio che a volte colpisce, a volte uccide, a volte soccombe. Noi che non smettiamo di lasciare tracce seppur rubate e di sorridere e di amare di nuovo. Noi che abbiamo confidenza con il dolore, il sopruso, l’ingiustizia, l’umiliazione. Noi ridotte al silenzio con la forza, colpite senza pietà, esposte come trofei, comprate, segregate, stuprate, abusate, adorate come madonne. Noi bambole di gomma, giocattoli da trastullo.

Noi che qualche volta preghiamo e qualche volta strofiniamo più forte.
Peter Paul Rubens, L'elevazione della Croce - particolare (Cattedrale di Anversa)
Peter Paul Rubens, L'elevazione della Croce - particolare (Cattedrale di Anversa)

Peter Paul Rubens, L'elevazione della Croce - Cattedrale di Anversa
Peter Paul Rubens, L'elevazione della Croce - Cattedrale di Anversa


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mercoledì 21 ottobre 2015

Il villino sul colle

Si dice che quelli che raccontano storie sono quelli che sanno ascoltare, perché raccontano storie che hanno già ascoltato. Spesso la voce che ascoltiamo è quella della nostra famiglia, dei nonni, genitori, cugini, la voce degli affetti più cari e dei luoghi della nostra vita.

Capita poi di affannarsi nella ricerca di suggestioni lontane, attratti dall'esotico, dall'inconsueto, dall'incantesimo e allora la voce narrante si affievolisce fin quasi a scomparire, ma basta un attimo di silenzio e il suono riemerge prepotente.

Sabato scorso ero alla commemorazione di Paolo Zapelloni alla Casa del cinema di Villa Borghese

Ho ascoltato raccontare la storia di un uomo “che aveva deciso di dedicare la sua vita ad una unica e immensa passione, il cinema. O ancora meglio i film” e ho percepito con molta chiarezza il mio attimo di silenzio e poi il ritorno di una voce: quella di una grande casa sul colle Aventino. 

Questa storia parte dunque da lontano, da due sorelle di una nobile famiglia ligure, Paola Bianca e Maria Luigia detta Lisa.

Poco prima della Grande Guerra, nel 1914, Bianca decise di venire a studiare a Roma lasciando le comodità del suo rango e abbandonando così la possibilità di sposare un nobiluomo di alto lignaggio. Lisa la seguì.

Bianca aveva vent'anni, era nata nel 1894.

Venne a Roma per studiare al Magistero (l’università di lettere dell’epoca per le donne, c’erano delle distinzioni allora:-)) contrariamente a quello che facevano le nobildonne del suo tempo e della sua estrazione. Ebbe come docente di Letteratura Pirandello, completò tutto il corso di laurea ma non fece la tesi. Decise di non laurearsi perché sapeva che un titolo non le sarebbe servito a niente, perché sapeva che la sua condizione le avrebbe impedito in ogni caso di lavorare. Era venuta a studiare al Magistero solo per imparare.

A Roma conobbe Cesare (dirigente del Comune di Roma) che però partì subito per la guerra del 15-18. Si sarebbero sposati al suo rientro, nel 1919. Ebbero 8 figli, 2 maschi e sei femmine che a loro volta hanno avuto, finora, in tutto circa 70 tra figli, nipoti, pronipoti (l’elenco si aggiorna di continuo). 

Ogni anno, due volte l’anno, a Natale e in Primavera (alla ricorrenza della sua nascita), tutta la famiglia si riunisce al Villino sul colle Aventino per rispettare la tradizione familiare fortemente voluta da Bianca. 

Tra lo scambio dei regali per i bambini e le chiacchiere delle sorelle le narrazioni corrono, si intrecciano, risuonano, alcune sfuggono, qualcuna si riesce ad afferrare. 

Una di queste è la storia di Paolo, il primo dei nipoti di Bianca, che ci teneva a ricordare di essere nato, per pochi giorni, quando in Italia c’era ancora la Monarchia. 

Paolo, detto Zap, l’uomo che guardava i film.


Paolo Zapelloni - Ritratto di famiglia



Approfondimenti:

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giovedì 28 maggio 2015

La signora del Macramè


L’Expo punta i riflettori su Milano ma, per chi da quella stessa città è partito un giorno per scoprire altrove una nuova casa, è un evento come un altro?

Non sappiamo molto di questa scelta. Forse gli occhi di Aldina volevano aprirsi su un campo di grano e non sulle spighe dorate che svettano tra i grattacieli? Forse i prodotti del territorio voleva ammirarli nelle piccole botteghe del centro storico e non in un padiglione-cascina?

Forse ha seguito semplicemente il suo cuore, o la seduzione del Macramè.

Il Macramè, ci ha spiegato, non è un tessuto.

È una tecnica, alla cui base sta la conoscenza di 5 o 6 nodi, su cui può costruirsi un sistema complesso e articolato. Per sua natura non richiede strumenti particolari ma solo un appiglio per poter tirare i fili che devono chiudere il nodo.

L’abbiamo incontrata nella sua bottega, intenta ad annodare con perizia e pazienza i fili della sua creatività: lampade, paralumi, applique, borse, accessori, piccoli tesori della tradizione cordaia.

Uno spazio poetico, un unico materiale come fil rouge, un mestiere antico e non industrializzabile.

Fuori, la pietra corrosa dal tempo di uno dei più bei borghi dell’Umbria...














Be inspired! J


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giovedì 21 maggio 2015

Arrivare in California partendo dal passato prossimo. Ma le scorciatoie servono?


La mia maestra delle elementari si chiamava Maria.

Era una signora preparata e distinta. 

A me sembrava già “vecchia” anche se avrà avuto più o meno la mia età di adesso. 

La mia scuola era in campagna, circondata da un giardino in cui stazionavano numerosi gatti in attesa dei resti della ricreazione. Il giardino era naturale come può esserlo solo il giardino di una piccola scuola di campagna: erba, prati di margherite e conifere.

Per me era il giardino, qualificato da quegli alberi che mi sembravano enormi, diversi da tutti quelli dei boschi vicini, nobilitati dallo scopo di ornamento ma soprattutto: non erano semplicemente cresciuti, qualcuno li aveva piantati.

Da scuola a casa c’era un cammino di circa mezz’ora, a meno di scorciatoie.

Le scorciatoie consistevano nell’intervallare il tragitto con brevi percorsi nei boschi o in grossi tubi sotterranei di cemento per lo scolo dell’acqua. Camminavamo carponi in fila indiana, i miei compagni ed io, nelle oscure condotte polverose, scansando piccoli animali e ragnatele e arrivando a destinazione in quelle condizioni pietose che di solito comportavano una ramanzina e la minaccia di passare, la prossima volta, alle vie di fatto. Né l’una né l’altra riusciva a smorzare il brivido davanti all’imbocco dei tunnel e abbiamo smesso solo quando sono diventati troppo angusti per la nostra taglia.

Perché vi racconto tutto questo?

Perché mi piace pensare che il percorso di chi scrive in questo Blog sia fatto di buoni maestri ma non di strade maestre e che prima o poi quel misto di incoscienza, timore e sbruffoneria possa riaffiorare, da qualche improbabile via, sul ciglio di una nuova carreggiata.

Per dire: nello storytelling sui tessuti siamo partiti da Tübingen, passando per Bayeux e Matisse. La mind map prevedeva ora Toile de Jouy ma il caso ha deciso Macramè e Aldina.

Chi è Aldina e che c’entra il Macramè con i tessuti?

Ne parleremo nel prossimo post naturalmente! Stay tuned! J

P.S. Al momento di scegliere le foto mi è tornata in mente un’altra scuola, questa.

E dunque ecco qui, un po’ della vecchia California. J

California - Bodega Bay

California - Bodega Bay

California - Bodega Bay

California - Bodega Bay


California - Bodega Bay

California - Bodega Bay

P.P.S. Le foto 1-2-3 sono quelle della vera scuola elementare di Bodega Bay, le altre quelle dell'edificio scelto da Hitch per la scuola de "Gli uccelli".

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venerdì 17 aprile 2015

Tisser Matisse

Qualche anno fa durante una gita a Napoli comprensiva degli immancabili presepi, delle Sette Opere di Misericordia, di caffè, pizza e sfogliatelle, uscendo dal museo di Capodimonte al crepuscolo di un’intensa giornata, la vista distratta di un dipinto in esposizione temporanea sancisce per sempre la mia memoria di quel giorno. 

Più del Caravaggio che pure è tra i miei preferiti in assoluto, più delle sfogliatelle, della pizza, del caffè, dei presepi.

Il dipinto è Tabac Royal di Matisse, ritrae una giovane donna e i motivi per cui è così indissolubilmente ancorato in qualche punto del mio subconscio non starei ad approfondirlo in un post che dovrebbe parlare, per lo più, di tessuti. J


Matisse - Tabac Royal

Sull’opera del più sofisticato esteta della pittura del ‘900 (Il volto dell’occidente, Flavio Caroli) confesso di nutrire sentimenti contraddittori ma l’aspetto che mi accingo ad indagare è un altro: il Matisse dei “tessuti”.

Considerando il numero di figure nude presenti nella sua produzione sarà un po’ come aggiungere le mutande al giudizio universale? J

Henri Émile Benoît Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 31 dicembre 1869 – Nizza, 3 novembre 1954), pittore, incisore, illustratore e scultore francese (nella definizione di Wikipedia), trascorse la sua giovinezza tra i telai che confezionavano i tessuti più lussuosi per l’Haute Couture parigina e le seterie di Lione.

Possedeva stoffe di tutte le regioni del mondo con cui tappezzava le pareti dei suoi atelier, nello stile delle abitazioni dei nomadi. Li definiva "i miei stracci" e avevano le origini più diverse: scampoli acquistati sulle bancarelle parigine in gioventù, stoffe nordafricane, vestiti di alta moda e tappeti orientali.

L’amore per i tessuti Matisse lo eredita dalla famiglia di tessitori e il suo lavoro ne risulterà intriso: nei motivi arabescati, nei colori brillanti, negli sfondi damascati dei dipinti, nei costumi e nelle scenografie dei balletti russi, nei cartoni realizzati su commissione per arazzi e foulard di seta.

Comporrà per le sue “odalische” piccoli teatri fatti di una grande varietà di tendaggi, tappeti, accessori esotici, atmosfere sognanti e incanto orientale.

Molte stoffe raccolte durante la sua vita sono esposte alla Royal Academy di Londra accanto alle sue opere e l’effetto “tessile” dell’impianto pittorico è uno dei temi della retrospettiva “Arabesque” alle Scuderie del Quirinale fino al 21 giugno (qui i dettagli).

Per chi (dopo aver letto questo post J) volesse tentare una mise en place ispirata a Matisse e ai suoi colori vibranti un buon punto di partenza è sicuramente Tricia Guild
Be inspired!






Fonti:


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giovedì 26 marzo 2015

L’Arazzo di Bayeux: le tre cose da sapere


Una storia è qualcosa che ho voglia di ascoltare, o guardare. Qualcosa che mi fa interrompere quello che sto facendo, che sospende il tempo e mi porta da qualche altra parte. 

Luisa Carrada


Questa storia ha inizio in Inghilterra quasi mille anni fa, tra il 1070 e il 1077, ed è una storia che da avvio a molte cose: alla propaganda, al fumetto, al “punto di Bayeux” e alla nascita di un capolavoro.

 

È un Arazzo, un ricamo...


L'Arazzo o Tapisserie de Bayeux non è, propriamente parlando, un arazzo. 
Più esattamente si tratta di un ricamo (lungo 68,38 m e alto 0,5) fatto con lana di otto colori naturali su un telo di lino grezzo, realizzato per ornare la Cattedrale di Bayeux, ricostruita dopo l’ incendio che l’aveva quasi totalmente distrutta, grazie alla generosità di Oddone di Conteville vescovo di Bayeux e conte del Kent, reso immensamente ricco dai favori ricevuti dal fratellastro, Guglielmo il Conquistatore.

L’arazzo è suddiviso in una serie di pannelli che mettono in scena, sotto forma di immagini distinte, gli avvenimenti chiave della conquista normanna dell'Inghilterra: nel 1066 Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia, varca con le sue navi la Manica per prendere possesso del trono, usurpato dal conte Aroldo, lasciatogli in eredità dal re d’Inghilterra Edoardo il Confessore. L’impresa si conclude con la vittoria di Guglielmo nella battaglia di Hastings e segna la nascita del Regno di Inghilterra. 


... o un fumetto?


Con le sue 1515 figure (626 personaggi, 202 tra cavalli e muli, 55 cani, 505 altri animali, 37 edifici, 41 navi e 49 alberi) l’Arazzo di Bayeux è da molti considerato l'antenato del fumetto moderno e come ogni fumetto che si rispetti l’azione si dipana sulla Tappezzeria scena dopo scena, seguendo la “freccia del tempo”, con un senso di lettura “all’occidentale”, da sinistra verso destra. Tali scene, come moderne “vignette”, sono spesso divise l’una dall'altra da elementi grafici costituiti da alberi o da costruzioni architettoniche. La didascalia (altro elemento comune nel fumetto), praticamente continua, accompagna il “lettore” per la quasi totalità dei 70 metri della Tappezzeria, spiegando il significato delle situazioni sottostanti e fornendo i nomi dei personaggi principali. 

Il fumetto di Bayeux, di chiaro intento propagandistico, fu realizzato da mani abili e incessanti, nell'arco di quasi un decennio, per spiegare ai Normanni come e perché Guglielmo era divenuto re d'Inghilterra e giustificarne l'invasione con il suo legittimo diritto al trono.


Veniamo al punto


Tecnicamente sono stati utilizzati due punti di ricamo: un punto disteso, detto punto di Bayeux, ed un punto erba utilizzato per il contorno e i lineamenti dei visi, delle mani, delle gambe e le iscrizioni. 

Oggi c’è ancora chi prova a  tramandare questa tecnica, creando motivi contemporanei ma utilizzando sempre toile di lino, fili di lana, il punto di Bayeux o la dentelle normande (qui e qui i link).

Meriterebbe un approfondimento anche il museo che ospita la Tapisserie ma ne facciamo solo menzione per quei lettori che, partiti da qui, sono giunti alla fine di questo post:-). 

Stay tuned!
Arazzo di Bayeux




Vermeer - La Merlettaia

Vermeer - La Merlettaia - Particolare


Fonti


Foto
Arazzo di Bayeux, particolari
Runner acquistato al "Dentelle Lace Bayeux"

La Merlettaia, Jan Vermeer

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giovedì 12 marzo 2015

Dal Conte Oddone a nonna Bianca. Anteprima storytelling

Quando ero molto piccola i miei genitori si sono trasferiti, per un breve periodo, a Tübingen.

Avevano trovato impiego in una fabbrica di filati. Il lavoro era piuttosto pesante e consisteva nel sollevare grandi bobine di filo man mano che veniva completato il ciclo di lavorazione.

Durante la permanenza in Germania mia madre ha cominciato a lavorare a maglia e all'uncinetto. Conservo ancora alcune sue realizzazioni.

Quando ha smesso con il lavoro in fabbrica ha smesso anche con i gomitoli di lana e cotone, come se le due cose andassero di pari passo e senza la prima anche la seconda avesse perso di senso.

Subisco inevitabilmente il fascino del duplice aspetto della questione: artigianalità, creatività e fabbricazione industriale, pur essendo totalmente priva di talento manuale (i miei lavoretti alle elementari erano sempre i più brutti, il più delle volte mi incollavo le dita, distribuivo porporina ovunque e ho ancora gli incubi per un pulcino di lana giallo mai finito). Al massimo potrei occuparmi del software di automazione di un impianto.

Tuttavia.

Mi piacciono i tessuti. I materiali, le lavorazioni, le stampe, i colori, la sensazione tattile.
E mi piacciono le storie che raccontano.

Ne ho scelte alcune e ancora non so in quanti post potrà dirsi esaurito l’argomento, la matassa si va dipanando un po' per volta e la mia mind map è ancora in itinere, ma il punto di partenza è un ricamoLungo quasi 70 metri.


Arazzo di Bayeux


Bayeux, Normandia

Arazzo di  Bayeux


Bayeux, Normandia

Arazzo di Bayeux


Bayeux, Normandia


Bayeux, Normandia



Stay tuned J
Foto: Città di Bayeux e Arazzo


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