giovedì 26 maggio 2016

What next?

Perché i tecnici del suono, delle luci, delle reti, ecc., quelli insomma che arrivano per collegare il portatile al proiettore e sistemare il microfono hanno sempre vent'anni e i capelli rasta?  

La sala Petrassi dell’Auditorium ospita, nel primo fine settimana romano di bel tempo della stagione, Amedeo Balbi, astrofisico, divulgatore e scrittore e Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana. 

Ancora un festival, stavolta delle scienze, e il tema della Lectio Magistralis di quest’afosa domenica, è affascinante: come il cinema guarda le stelle

C’è sempre stato un interesse molto forte del cinema verso l’Universo. Un rapporto strettissimo che parte da Viaggio nella Luna (1902, ispirato a “dalla terra alla luna” di Jules Verne) e continua con 2001 Odissea nello spazio (1968) che è in realtà un film sulla "ricerca di senso", e poi Apollo 13 (1995) che ha dato probabilmente origine a uno dei primi fenomeni virali e duraturi in tema di citazioni cinematografiche con la famosa frase: "Houston, we have a problem".

Da questo punto in poi fantasia, storia, scienza si incontrano

Il cinema di genere degli ultimi anni racconta storie non vere ma certamente verosimili: siamo andati sulla luna, sulla coda di una cometa, è stato misurato lo spazio interstellare, si parla di raggi cosmici, di antimateria, di buchi neri. “Non è più fantascienza - racconta Battiston - è scienza.” 

Una passione, quella del cinema per lo spazio, che torna prepotente negli ultimi anni con pellicole come Gravity (2013) in cui tutti i movimenti, le luci, i giochi sono calcolati dal computer - artigianato dell'illusione è stato definito - e ancora di più con Interstellar (2014), il film che è anche uno strepitoso tributo ad Albert Einstein. 

La storia è stata scritta da Kip Thorne un astrofisico (che potrebbe essere il prossimo premio Nobel per la fisica) che ha lavorato per 12 anni con il regista Nolan a partire dalla fisica nota, immaginando mondi possibili e basando il resto del racconto su quella speculativa (TesseractWormhole, ...). 

Con questo film si dice abbia dato addirittura un contributo al progresso scientifico grazie alla “visualizzazione” di alcune teorie.

Sulla necessità di “visualizzare” mi scontro quasi ogni giorno: per quanto si possano produrre documenti approfonditi, dettagliati e perfino approvati ci sarà sempre qualcuno che alla vista del prototipo o del Mockup cadrà da un pero.

La mia pregiudizievole idea dunque, indotta dal confronto quotidiano con utenti di applicazioni web recalcitranti alle parole che necessitano di “visualizzare” e la mia personale visione che riterrebbe invece sufficiente uno “sforzo di fantasia”, richiede un cambio di prospettiva: accettare che lo studio, l’approfondimento, la ricerca, l’intuizione, l’applicazione, la sperimentazione, l’ingegno, la creatività e la passione con cui ci adoperiamo ogni giorno per mostrare cose che altrimenti non saremmo in grado di far vedere non è (mai) fatica sprecata e potrebbe addirittura un giorno trasformarsi nella scintilla che ci farà fare il prossimo salto in avanti.
Robot di Metropolis (Fritz Lang, 1927) - Cinémathèque française di Parigi
Robot di Metropolis (Fritz Lang, 1927) - Cinémathèque française di Parigi

P.S. Sulla domanda in incipit non ho finora trovato risposta soddisfacente e sono ben accetti suggerimenti;-).


Per approfondimenti:

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mercoledì 18 maggio 2016

Non chiamatelo “Festival”

Ho cominciato da qualche anno ad accumulare libri e riviste di giardinaggio, dépliant di eventi florovivaistici, cartoline botaniche, semi di zucca e cappelli di paglia. 

Man mano che la formazione è avanzata il Glicine è diventato “Wisteria Sinensis”, il Geranio: Pelargone, la Speronella: Delphinium e chiunque ormai accenni in mia presenza un moto di incertezza nel distinguere a occhio nudo un’infiorescenza apicale ad ombrello da una spiga scatena, come minimo, disapprovazione e biasimo.

Ça va sans dire, da diverse stagioni frequento fiere di settore, mercati, mostre, esposizioni e rassegne varie, armata di macchina fotografica, blocco per gli appunti e una lista di improbabili erbacee, rigorosamente perenni, che potrebbero allietare la mia affollata aiuola urbana, posto che qualcuna delle piante che vi dimora decida di abbandonare anzitempo questa valle di lacrime per lasciare spazio, che so, all'effetto cottage di una rarissima digitale purpurea.

Ora, si capisce facilmente che decidendo di andare anche quest’anno al Festival del Verde e del Paesaggio le mie aspettative erano piuttosto elevate ed è altrettanto facile immaginare che avrei potuto cominciare a recriminare ancor prima dello strappo del biglietto d’ingresso. Pioveva pure.
Auditorium Parco della Musica - Festival del verde e del paesaggio
Auditorium Parco della Musica - Festival del verde e del paesaggio

Tuttavia, anche gli spiriti più arruffati in alcune giornate sono più quieti e la potenziale diatriba sulla mancanza di spunti creativi dell’evento è sfociata in una riflessione più ampia: posto che visto uno, visti tutti (ma quelli che vanno ogni anno sulla Croisette penseranno la stessa cosa?) che si potrebbe fare per ravvivare un Festival ammesso che non si possa semplicemente proiettare nuovi film?
Auditorium Parco della Musica - Festival del verde e del paesaggio
Auditorium Parco della Musica - Festival del verde e del paesaggio

Come rendere il Festival del verde e del paesaggio diverso dall'anno prima? Ovviamente in questa simulazione non consideriamo limiti di budget e facciamo come se il Parco della Musica facesse parte dell’emirato di Abu Dhabi. ;-)

Partiamo da vincoli e opportunità.

1.Location. Non è che basta cambiare le tende all'auditorium, voglio dire quello è un complesso polifunzionale con una sua precisa personalità… ma se fosse possibile ad esempio ridefinire gli orari della mostra prevedendo che si faccia in notturna, dal tramonto all'alba, con le terrazze piene di vasi di bella di notte, un famosissimo Direttore delle luci - ma uno figo proprio! - e un paesaggista/architetto/progettista/musicista che aggiunga fontane, giochi d’acqua e naturalmente musica?

2.Espositori. Fermo restando che non si può non avere Barni, Raziel, L’erbario della Gorra e Il Lavandeto di Assisi, per aggiungere un pizzico di glamour internazionale, si potrebbe chiedere a un Clement o un Blanc di presenziare, così tanto per darsi un tono. E poi creare alternanza: definire un regolamento per cui nessuno può partecipare per due anni consecutivi e per ogni espositore “storico” consentire la partecipazione gratuita di “nuove leve”. Al bando invece gli stand di libri ma organizzare solo postazioni di Book-crossing.

3.Temi. Niente voli pindarici, non “territori espressivi nei quali una società manifesta la sua civiltà” ma temi banali, che so, Giardini del ‘600 con tutto lo staff in costume d’epoca. Farsi venire idee coatte, tipo droni che fanno riprese aeree continue che vengono proiettate su mega schermi e utenti che mandano ai droni le loro riprese dal parterre:-). Utilizzo del “girato” per un docu-film da presentare alla prossima Mostra del cinema: il primo film interamente girato da droni e pubblico insieme:-).

4.Eventi. Nessun evento pianificato ma spazi condivisi per l’organizzazione di incontri spontanei proposti dal pubblico, dalle presentazioni di libri agli addii al nubilato, senza distinzione, così che la futura sposa con giarrettiera tipo bandana faccia pendant con il professore di storia e il suo romanzo epistolare.

5.Bambini. Prevedere multe per genitori che non permettono ai bambini di rotolarsi negli spazi erbosi delle scarpate dell’Auditorium e già che ci siamo aggiungerei scivoli sorvegliati da personale addetto alle postazioni per i giochi.

6.Comunicazione. Qui c'è una nota dolente. Mentre passeggiavo tra gli stand resto incantata da una bancarella di deliziosi cappellini. Ne scelgo uno dopo molte indecisioni e mi accingo a provarlo, con mia sorella armata di macchina fotografica pronta  a immortalare il momento, quando l’artista ci gela con un: “sarebbe che non faccio fare fotografie”... Mi sforzo di pensare cosa potrebbe succedere a parte pubblicità gratuita per…l’opera. Qualcuno certo potrebbe rifare lo stesso cappellino a partire dalla foto, è un rischio serio, proprio ultimamente ho letto di una copia di un cilindro del ‘700 spacciata per originale. Ma a parte il copyright, l’aspetto più grave di tutta la faccenda è senza dubbio l’uso della locuzione “sarebbe che non”, per cui farei sottoscrivere apposita clausola di non uso agli espositori.

Insomma, il mio sarebbe più o meno così: poco Festival, mai che non. :-)
Auditorium Parco della Musica - Festival del verde e del paesaggio
Auditorium Parco della Musica - Festival del verde e del paesaggio



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lunedì 9 maggio 2016

#adotta1bloggerday e le domande epocali

Qualcuno penserà che siamo diventati stupidi facendo troppi test di Facebook: che personaggio del rinascimento saresti stato? Che colore ti rappresenta? Quale cattivo da film sei? A quale capo indiano assomigli?

Ma la vera domanda su cui ci siamo interrogati per giorni e giorni, da che Paola Chiesa ha lanciato l’iniziativa #adotta1bloggerday, è stata un’altra: quale sarà l’animale guida della community #adotta1blogger?

Mumble mumble…

Abbiamo escluso per ovvi motivi il Fetonte dalla coda rossa, e ci siamo accapigliati a lungo, tediando i poveri ospiti delle sfortunate tavolate a cui abbiamo partecipato, sull'opportunità di scegliere il Varano fasciato o la Moretta tabaccata

Infine, quando ormai l’arena si stava trasformando nella “Guerra dei Roses” solo più insanguinata, la nota diplomazia che contraddistingue i contendenti e il limoncello ci hanno portato a convenire che senz'altro doveva trattarsi di un animale piccolo e discreto, una cosa tipo Chiwawa ma un po' più grande: questo.




Anzitutto c'è da dire che l’elefante è bellissimo! :-)

Poi, per essere un ciccione, è molto agile. 

Ma è soprattutto un animale sociale che vive in grandi branchi solitamente guidati da una femmina

I membri della comunità si aiutano fra loro, non lasciano mai indietro gli individui più deboli o stanchi, si organizzano insieme per risolvere un problema o raggiungere uno scopo. Se un piccolo perde la madre viene adottato dalle altre elefantesse. Nonostante sia forte e non abbia predatori naturali, rischia lo stesso l’estinzione e quindi va protetto. E’ proverbiale la sua memoria, perché è un animale che usa il pensiero.

Insomma, ci è parso che gli elefanti ci somiglino abbastanza. Anche noi di #adotta1blogger siamo animali sociali, “viviamo” in un grande branco guidato da una grande donna, ci prendiamo cura dei componenti del gruppo, ci adottiamo a vicenda, abbiamo istinto di protezione, memoria, pensiero.

E poi gli elefanti si sa vivono molto, molto a lungo :-)


Elefanti






Buon #adotta1bloggerday a tutti! :-)

Anna Pompilio e Alessandro Borgogno



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domenica 8 maggio 2016

La cartella parallela e altre storie

Si parla di medicina narrativa e io sono tra gli infiltrati.

Anche il posto è fortemente narrativo. Qui nel 1990-1991, si è scritta una storia dove la malattia da debellare era rappresentata da migliaia di migranti e da un manipolo di specialisti che hanno infine risolto il conflitto. Sappiamo come.

Il primo relatore è Christian Delorenzo, un giovane ricercatore in Letteratura e Scienza all'Università di Parigi, studioso del rinascimento, “antropologo mancato” e molto altro. Non sapendo scegliere tra materie umanistiche e scientifiche si colloca, dice, negli interstizi.

Mi viene in mente una cosa che ho letto non molto tempo fa: “Negli interstizi si verificano attriti, slittamenti, frizioni, scarti. Si annidano scorie, avanzi, permanenze, indizi. Negli interstizi possono aprirsi varchi, e i varchi si possono squarciare in aperture verso nuove prospettive.” (Interstizi creativi- idee 107)

Per ore ci racconta, con metodo, competenza e passione dell’antropologia medica, del potenziale terapeutico della scrittura, delle scienze con paradigma narrativo e di come “saperi diversi (letteratura, filosofia, antropologia, …) legati attraverso la narrazione curano la complessità”; ci mostra come sia necessario comprendere la persona (Illness) per curare la malattia (Desease) come il pensiero narrativo, che costituisce la forma tipica di strutturazione dell’esperienza, riesce a unire i due poli; ci parla di Rita Charon, della “cartella parallela”, di come le malattie possono essere simili ma le persone sono tutte diverse

Tutti abbiamo paura, dice. Paura dei medici, della malattia, del dolore, dell’ignoto, della “rottura biografica”, tutti siamo influenzati dalle nostre convinzioni, dal pregiudizio, dalla vergogna, dal pudore.

E io ricordo ancora, dopo molti anni, il gesto di una madre che allontana di scatto una bimba colpevole di voler abbracciare lo zio malato di cancro, il braccino strattonato con violenza per allontanare il visetto un attimo prima che sfiorasse le pustole del viso e la cannula che sputava catarro e sangue. 

L’espressione sorpresa della bambina è ancora per me una fotografia nitida, fa parte di una raccolta che non sfoca né sbiadisce con il tempo. Sobbalzai, come quando arriva improvvisa una detonazione nel silenzio. In un quieto pomeriggio estivo, seduti su sgabelli di fortuna - uno meraviglioso, piccolo, di sughero -  sotto i noccioli di una casa di campagna compresi che può esistere un male più grande del cancro ed è la paura delle madri per l’incolumità dei propri figli. 

Aix-en-Provence


Il secondo relatore è la Dott.ssa Maria Cecilia Cercato dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena. Il suo racconto e quello di altri medici testimonia la forte volontà  di cambiare un sistema in cui il paziente passa da una stazione all'altra come se percorresse un binario e si ferma, secondo un protocollo consolidato, nella stazione successiva dove un nuovo esperto effettua la “presa in carico subentranti

Il Regina Elena è un ospedale oncologico, lo conosco bene per averci trascorso parecchi mesi. Accompagnavo il fratello di mia madre nel calvario di un cancro alla gola. La notte che seguì l’operazione ero sola, avevo insistito affinché il resto della famiglia tornasse a casa. Con logica inoppugnabile li avevo convinti, dato che un solo  parente poteva rimanere, che non c’era una persona più adatta di me a restare. Non rammento come impiegai l’attesa delle quasi 12 ore di intervento ma ricordo bene l’arrivo della barella di ritorno dalla sala operatoria. Seguii con attenzione e sgomento le manovre di trasferimento nel letto, ascoltai le rassicurazioni di medici e infermieri. Poi svenni. 

Ho capito, dopo una serie di evidenze empiriche, che svengo di fronte a persone sottoposte ad anestesia:-). 

Restammo parecchio tempo al Regina Elena, da un certo punto in poi le facce divennero amiche, imparai dove portavano i lunghi corridoi e cosa si nascondeva dietro le porte chiuse. Eravamo in tanti. Per noi che facevamo le notti arrangiandoci con letti di fortuna gli infermieri lasciavano una caffettiera già pronta nella piccola cucina del reparto.

Quando la situazione migliorò un po’ io e lui prendemmo a passeggiare nei giardini terrazzati, portavamo con noi un piccolo quaderno dove diligentemente annotava, e io cercavo di interpretare, le frasi nell'italiano stentato di quinta elementare mischiate al dialetto. 

Parlavo molto, per ore, riempivo i silenzi, raccontavo storie. Poi compravamo una coca-cola al bar e ci sedevamo a berla su una panchina: infilavo una siringa pulita nella lattina, aspiravo e poi iniettavo il liquido nel sondino, con calma affinché le bollicine frizzanti potessero sentirsi nello stomaco anche se non passavano dalla bocca e dessero così l’illusione di sorseggiare la bibita, di placare la sete.

La fine delle visite era il momento più straziante. Lo lasciavo sulla scalinata esterna dell’ospedale dove insisteva per accompagnarmi. Rimaneva lì finché non sparivo dalla vista lungo Viale del Policlinico. Gettavo un ultimo sguardo indietro e lo vedevo in piedi, con il suo pigiama ormai troppo grande, con i tubi e il sondino e la cannula e le bende. Faceva un ultimo gesto di saluto mentre lacrime silenziose scendevano sul viso disfatto. Poi si voltava e lentamente tornava in reparto, nella stanza dell’attesa.

Se fossi un medico questa sarebbe una delle mie cartelle parallele, se fossi un medico potrei forse salvare delle vite. Ma sono solo un cantastorie, uno dei tanti.





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