sabato 1 settembre 2018

Date a Darwin quel che è di Darwin

di Alessandro Borgogno

Ogni tanto capita che qualcuno, da un qualunque punto parziale del panorama umano, che sia politico, sociale, economico, trascendente o condominiale, si senta in diritto di tirare dentro il povero Charles Darwin per giustificare la propria esigenza di purezza, di rigore, perfino di integrità razziale. 

Qualche tempo fa è stato un deputato qualunque di un partito o movimento altrettanto qualunque che per giustificare la sua evidente fame di epurazione dei dissidenti interni non ha trovato di meglio che buttare lì una cosa tipo: "È un po' la legge di Darwin, sopravvivono i più forti, non i deboli".

La legge di Darwin… ci mancava solo che si arrivasse ad attribuirgli perfino la formulazione di una legge. Neanche fosse un qualunque sottosegretario. E non manca in tempi recenti di sentir nominare a sproposito concetti del genere anche per quanto riguarda la presunta “lotta per la sopravvivenza” fra poveri cristi, come se nella misera competizione fra miseri individui c’entrasse qualcosa il povero genio inglese e men che mai i concetti da lui formulati sull'evoluzione e sul cambiamento delle specie animali.

Ci sono diverse considerazioni da fare su questa apparentemente (ma solo apparentemente), piccola inesattezza.

Prima di tutto essa si basa, assai superficialmente, sul concetto di darwinismo sociale, una di quelle idee che come tante altre poco felici, ha la discutibile forza di restare viva anche dopo essere stata sepolta da decenni. Un po’ come i protocolli dei savi di Sion. Tutti sanno che sono falsi ma tutti continuano a citarli come fossero veri.

Il concetto di darwinismo sociale: una truffa

Il darwinismo sociale è un'invenzione tutta umana che Darwin non si è mai sognato di pensare, ed è stato inventato da chi voleva giustificare autoritarismi, inutilità dello stato sociale, capitalismi, sopraffazioni. Tutta roba che con la Natura e con l'evoluzionismo darwiniano non ha niente a che fare.

Darwin studiava e osservava e parlava di Natura, di ere geologiche, di milioni di anni, di vita sulla terra, non di beghe da condominio né di litigi da terza media, ma neanche di presunti funzionamenti della sopravvivenza degli individui all'interno della società umana.
Questa idea del darwinismo sociale, oltre a non essere mai stata formulata da Darwin, è superata ormai in tutti i campi dello scibile umano, ma c’è sempre qualcuno innamorato di questa idea un po’ fascista della sopraffazione del più forte sul più debole che è sempre pronto a tirarla fuori. 

Anzitutto darwinismo sociale è una truffa già dal nome. Come detto Darwin non c'entra nulla.

Si dovrebbe chiamare spencerismo sociale, perché se la inventò Herbert Spencer, un filosofo inglese che su alcune tematiche probabilmente si dimostrò un tantino sbrigativo. Il termine darwinismo sociale venne adottato dai suoi detrattori, in particolare dal giornalista anarchico francese Émile Gautier, perché faceva assai più effetto. Oggi si direbbe che era una semplificazione giornalistica. E come tale rimase.

In ogni caso, ciò che accadde è che nella sostanza il buon Herbert limitò, abbastanza strumentalmente, il darwinismo alla lotta per la sopravvivenza e adottò il concetto di “Lotta per la vita e la morte” come unico motore della vita sulla terra, tanto in natura che all'interno delle società umane. Lo limitò tanto strumentalmente che in realtà l'idea venne formulata da Spencer prima ancora che Darwin esponesse la sua teoria (e anzi è addirittura Darwin che cita Spencer nella sua opera, segnalando appunto la sua definizione di “sopravvivenza del più adatto”. Darwin, come tutti sanno, aveva invece coniato il termine di “selezione naturale”, con una accezione assai più ampia e complessa). Attraverso la sua idea di selezione naturale, infatti, Darwin affermò al contrario che l’evoluzione poteva esprimersi in molti modi e anche molto diversi fra loro.
Affermò anche che la competizione fra specie diverse e all'interno della stessa specie può anche essere incruenta.E infine, che la competizione non è affatto il solo meccanismo dell'evoluzione biologica. La moderna biologia, come sempre dandogli ragione anche dopo molti anni, ritiene infatti ormai che la competizione cruenta tra organismi sia minoritaria nei processi evolutivi e riguardi solo una percentuale di questi, molto spesso non decisiva.

Sui contenuti si potrebbe dibattere all'infinito ma la sostanza è che applicare i meccanismi di selezione a strutture organizzate socialmente è, a voler essere buoni, una inaccettabile forzatura. E non si tratta di considerare gli uomini come diversi dagli altri animali, perché anche gli animali, a dispetto di qualunque semplificazione faziosa, se hanno un qualche tipo di organizzazione sociale tendono ad aiutare e a soccorrere gli individui più deboli, e non a lasciarli indietro. Si da il caso che l'organizzazione sociale, evoluzionisticamente parlando, sia nata proprio per questo: per aumentare le possibilità di sopravvivenza di tutto il gruppo, non solo dei più forti. E ancor di più l’organizzazione sociale evoluta tende a valorizzare le caratteristiche peculiari di ciascuno a favore della comunità, non ad eliminarlo perché diverso o apparentemente inadatto rispetto ad altri. L’essere o non essere adatti, del resto, è totale funzione dell’ambiente in cui ci si trova, e non ha nulla a che fare con pretese qualità “assolute” di alcuni.

La formica e l'elefante

Tanto per non restare solo nel teorico, sarà utile citare le nostre care amiche formiche, che così tanto ci affascinano proprio perché capaci di una organizzazione sociale così simile alla nostra. Costruiscono case e città, modificano l’ambiente, si specializzano in mestieri diversi.
Nei formicai ci sono un sacco di individui apparentemente disabili.
Ci sono dei tipi di formiche che sviluppano un addome enorme per fare da contenitore di riserva del cibo utile a tutto il formicaio. Una specie di giare viventi. Ebbene, questa caratteristica le rende inadatte a qualsiasi attività. Non riescono a muoversi, non procurano cibo e non scavano gallerie e non difendono le larve. Ma sono utili alla comunità e vengono difese e accudite dalle altre. In diverse specie di formiche gli addetti alla difesa del formicaio, le formiche soldato, per essere delle combattenti efficienti hanno sviluppato delle mandibole talmente sproporzionate che non sono più in grado di cibarsi da sole. E le altre formiche le imboccano. La regina di molte termiti è specializzata e indispensabile, come quella delle formiche, nella funzione di unica produttrice di uova di tutta la comunità, ma l’enorme incubatrice rappresentata dal suo addome la rende totalmente incapace a fare altro.

Questi individui (ma gli esempi potrebbero essere centinaia) al di fuori della comunità non potrebbero mai sopravvivere.

E si potrebbe continuare con altri tipi di animali. Anche all'altro estremo della scala evolutiva (e delle dimensioni). 

Gli elefanti non lasciano indietro gli individui vecchi e malati. I vecchi sono il punto di riferimento del branco. Sono meno veloci ma il branco si affida alla loro esperienza. Chi si perde viene spesso cercato e ritrovato. Addirittura chi muore viene ricoperto con foglie e rami, quasi una sepoltura.

Purtroppo le cattive idee sedimentano assai meglio di quelle buone. In genere perché sono più semplici e comportano meno sforzo mentale per appropriarsene. È per questo, crediamo, che il concetto di darwinismo sociale abbia ancora tanto seguito: perché è sbrigativo e fa sempre comodo a chi ha tendenze autoritarie, quando non espressamente razziste. Ma non è soltanto un falso storico e una teoria (non di Darwin) palesemente sbagliata. È un' idea del mondo e della società che addirittura trova proprio nell’evoluzionismo darwiniano le sue più decise smentite.

Tra evoluzione e progresso

L’evoluzionismo darwiniano ha decine e decine di aspetti che lo contrappongono diametralmente a questo genere di idee. Perfino la colpevolissima confusione che si fa troppo spesso fra “evoluzione” e “progresso”, è appunto una colpevole confusione. Non solo non sono necessariamente sinonimi, ma a volte sono addirittura antitetici.
Per amore di verità, anche se indegni ad approfondire qui un argomento tanto importante e complesso, cerchiamo di vedere almeno tre di questi aspetti principali.

1. L’evoluzione darwiniana non è mai influenzata da ciò che un individuo fa nel corso della sua vita, se non per il semplice atto di riprodursi. Questa era, semmai, la famosa idea iniziale di Lamarck (la giraffa allunga il collo per mangiare più in alto e poi i suoi figli nascono con il collo più lungo), da cui non a caso deriva anche un cosiddetto “lamarckismo sociale” secondo il quale i figli di un operaio sarebbero maggiormente predisposti a fare gli operai. Darwin capì (e dimostrò) che non è così. Il figlio di un campione di tennis non nasce già con il muscolo del braccio destro più sviluppato. Il cambiamento generato dalla mutazione genetica è preventivo, e successivamente viene sottoposto alla prova ambientale. Quindi se anche un individuo sviluppa una particolare capacità durante la sua vita questa non verrà automaticamente trasmessa alla prole. Quindi non c’è nulla in natura che dica che un figlio di un operaio debba necessariamente fare l’operaio, né che un figlio di un proprietario di televisione debba per forza diventare anche lui un manager delle telecomunicazioni. Nella sostanza, nella sua sostanza più progressista ed egualitaria, l’evoluzione darwiniana ad ogni generazione ridà a tutti gli individui la stessa probabilità di essere portatori di un cambiamento.

2. Se proprio vogliamo riportare i meccanismi darwiniani anche nel nostro contesto sociale, allora diciamo pure che l’evoluzione darwiniana ha già spazzato via da due secoli il concetto di merito e di qualità assolute (la famosa “meritocrazia”…): una qualsiasi qualità si può rivelare utile alla sopravvivenza in un determinato ambiente ed essere totalmente inadatta in un altro. Si parla di caratteri, e non ne esistono di buoni o di cattivi, sono tutti utili o dannosi a seconda dell’habitat in cui si troveranno ad esprimersi.

3. L’evoluzione darwiniana non comporta necessariamente “progresso” né “aumento della complessità”. In determinate condizioni, anzi spessissimo, l’evoluzione invece comporta la perdita di determinate caratteristiche anziché la loro acquisizione, e anche la semplificazione degli organismi. Si può tranquillamente tornare indietro, perdere delle “qualità” se non servono più a nulla, abbandonare il superfluo. Ci si può evolvere senza progredire, anche restando fermi se è la soluzione migliore. In natura non esiste la “crescita” a tutti i costi. Se non serve a niente, o se addirittura dannoso, non si cresce. Ci si evolve semplificando le soluzioni.

Insomma, com'è ovvio a chi scrive non piace che Charles venga tirato in ballo a sproposito, meno che mai da chi non sa neanche lontanamente di cosa sta parlando. Sai Charles, in fondo le persone che si aggrappano alla tua grandezza per il loro miserabile arrivismo sono piccole e ignoranti e anche presuntuose. Non sanno, e forse non sapranno mai, che credere nell'evoluzionismo significa anzitutto essere molti umili, ammettere tutti i nostri limiti e i nostri difetti, e ritrovare il senso delle cose importantiVorremmo quasi dirti di perdonarli, ma forse non lo meritano.

Paris - Muséum national d'Histoire naturelle - Grande Galerie de l'Évolution
Paris - Muséum national d'Histoire naturelle - Grande Galerie de l'Évolution 


Approfondimenti
Di Charles abbiamo parlato anche qui


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