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giovedì 12 gennaio 2017

Non chiamatelo piano editoriale

In Francia la rentrée  è quel periodo di massima attività letteraria che va da luglio a novembre in cui arrivano sul mercato una grossa quantità di titoli di tutti i generi. 

Nel caso di un Blog non c’è, mi pare, un periodo concentrato di massima attività editoriale quanto piuttosto una distribuzione costante pur con un fisiologico calo durante le vacanze estive e di fine anno. Del resto le dinamiche sono diverse, probabilmente neanche paragonabili, ma il presupposto organizzativo è forse il medesimo. Voglio dire: se devo pubblicare un numero consistente di titoli in un dato periodo devo aver ben pianificato prima, allo stesso modo se devo pubblicare con costanza sul mio Blog dovrei avere quantomeno un piano editoriale.

Bon. Vi dico come è andata con il mio per il 2017.

Intanto ho scelto il software, uno di quelli con cui si fanno le mappe mentali, permette di aggiungere foto, simboli, evidenziare gli avanzamenti ecc. Poi ho definito la frequenza di pubblicazione e alcune date, infine ho cominciato a ragionare sui contenuti. E qui si ripropone l’annosa questione: a chi giova? ;-)

Tra social e sociale

Questo Blog, nato sulla carta con una precisa identità (parliamo di case, giardini, design ecc.) si è evoluto ben presto in quello che ho poi riassunto nel sottotitolo: Painting storyscape. Pennellate di paesaggio, immagini e luoghi evocati con le parole... E se devo rispondere in assoluta sincerità alla domanda di prima, questo Blog giova innanzitutto a chi scrive. E non è tanto per quello che finisce su queste pagine ma per quello che viene “prima”, il lavoro, la preparazione, le interminabili check-list, le letture fino a notte fonda, la ricerca, l’osservazione, la curiosità. Anche quando mi dico: sono stanca, non ho tempo. Ma poi  il tempo lo trovo perchè scrivere, qui o altrove, è ancora una priorità.
Anna Pompilio, Emanuela Pulvirenti
Calendario editoriale

E poi c'è la parte migliore di questo progetto che non ha un piano: gli incontri, le connessioni, le personeGuardate la foto. Io e Emanuela Pulvirenti a Finestre sul Cortile. 

Oppure l'incontro con Natalia, che mi ha portato ad avere una rubrica sul Blog aziendale 6 Memes

O la collaborazione con Kloe che mi ha permesso di intervistare Luisa Carrada, Annamaria Testa, Massimo Mantellini, Alessandro Zaccuri, Marco Drago, Domitilla Ferrari... Ne è valsa la pena, anche solo per questo.

C’è anche che questo Blog mi aiuta a sviluppare con più consapevolezza la mia identità digitale. Sull'argomento digitale vorrei dire solo un paio di cose, a partire dall’incipit di un articolo di Francesca Parviero, una delle 100 donne del digitale 2016 secondo Startup Italia: "C’è davvero ancora lì fuori qualcuno che è convinto di potersi disinteressare della trasformazione digitale?"

Faccio un esempio. Sono stata a Siena nel periodo delle feste natalizie, ho passeggiato a lungo immersa nell'atmosfera un po’magica tipica dei borghi addobbati per le feste e ho finito anche per registrare una serie di messaggi: in quasi tutto il centro storico vedo botteghe con gli immancabili cartelli contenenti il divieto tassativo di fare foto e video, cartelli qua e là per ricordare che in chiesa si entra solo perfettamente abbigliati ed è necessario rimanere in silenzio per mantenere il decoro dei luoghi, cartelli per intimare di non aspettarsi ricevute perchè “la nostra azienda agrituristica non è tenuta a emettere lo scontrino fiscale”... 

Allora ho cercato #siena su Instagram. Risultato: 866.215 post. Ho cominciato a scorrere le immagini: monumenti, immancabili selfie, appartamenti, scorci… Dopo un bel po’ è comparsa una vetrina di salumi, con 7 like. Il proibizionismo funziona a quanto pare, eppure l’appartamento che ho prenotato a Monteroni D’Arbia l’ho trovato su Facebook. Il posto non lo conoscevo, l’ho scoperto grazie alle foto di un famoso Instagrammer che seguo. Eppure c’è ancora qualcuno lì fuori che mette cartelli, convinto di potersi disinteressare della trasformazione digitale

Tornando ai contenuti del piano, il soggetto del mio Painting o i luoghi che racconto non sono le piccole e deliziose città indistinguibili l’una dall'altra, Monteroni  d’Arbia come Corbas, perché mi rendono claustrofobica ancor più dei cartelli con i divieti. Le guardo scorrere fuori dal finestrino e penso che devo continuare a scrivere del lago di Roma, che devo riuscire a contattare Mohsen per saper come è andata alla Pantanella, che appena torno a Parigi devo ripassare da qui e che tanto non ce la farei a dipingere un posto che potrebbe essere ovunque, nei colli senesi come nelle periferie di Lione.

E quindi questo piano? Boh… ci faremo venire in mente qualcosa, magari un giorno passeggiando in un vicolo smetteremo di ascoltare i nostri passi sul selciato sconnesso e ci fermeremo percependo che qualcosa è cambiato, che il mondo è cambiato, che sono spariti i cartelli con i divieti e allora diremo un po’ stupiti: ti ricordi non si potevano fare le foto? Chissà poi che è successo? Mah, chissà… ci avevo pure fatto un post… ;-)

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mercoledì 26 agosto 2015

Il giorno in cui Facebook bloccò il mio account


Il 25 agosto per me non è un giorno come un altro.

È il compleanno di mia madre, il giorno in cui fu liberata Parigi ed è anche il giorno in cui Facebook ha deciso di bloccare il mio account

Le tre cose si sono ricomposte, per qualche strano caso, proprio questo 25 agosto 2015, ieri, più o meno verso le 18. Un giorno come un altro finché non ho visto questo tweet del sindaco di Parigi.


Leggo e affiora alla mente l’eroina della resistenza Paulette Duhalde e la lunga “Lettera” a mia madre (poi promossa a video, per chi volesse approfondire qui il testo e il link al video) che avevo scritto su di lei al ritorno dalla Normandia.  Penso di ripostarla su Facebook in questa ricorrenza, entro nel mio account, clicco sul pulsante “Pubblica” et voilà!

Il mio Account è sparito, al suo posto compare questo messaggio.


Ora, a scanso di equivoci, vorrei dire che questo è il risultato di due errori ascrivibili senza ombra di dubbio alla sottoscritta: mancanza di informazioni e pregiudizio.

Pregiudizio derivante dal considerare il social per antonomasia riservato al solo cazzeggio. Mancanza di informazioni sul rischio associato alla creazione di un profilo personale Facebook con lo stesso nome di una pagina

A distanza di un anno ho riconsiderato, nel tempo e con l’uso, proprio quelle dinamiche social di cui pontificavo l’inutilità, aderendo a quelle stesse che improvvisamente erano fatte di scambi, condivisioni, approfondimenti, incontri, relazioni. Ho cominciato ad utilizzare quasi esclusivamente il profilo, a cancellare con nonchalance le mail di Facebook che mi ricordavano che “questa settimana” nessuno aveva messo il “mi piace” alla pagina e in ultima analisi a tenere in conto gli amici e basta.

C’è stato un momento in cui ho pensato di cambiare il nome al profilo utilizzando il mio nome e cognome ma con la leggerezza di chi pensa che “tanto si può fare in qualsiasi momento” e che qualunque cosa succeda c’è sempre il back-up e restore, ho abbandonato l’idea per dedicarmi alle mille altre faccende che ogni giorno, in parte, ho condiviso su quello stesso profilo. 

Per questo di fronte al messaggio supponente un uso “non individuale” del profilo, mi sono detta: “ci dev’essere sicuramente un modo di spiegare ai signori di Facebook che non sono un’organizzazione”. 

Beh, se c’è, io non sono riuscita a trovarlo. 

Ho scoperto che non è possibile avere contatti diretti con chicchessia, che il Centro assistenza di Facebook è una matrioska di link che si aggrovigliano su se stessi e non portano da nessuna parte, che non è possibile chiedere un ripristino dell'account motivandolo perché non è realmente “disabilitato” ma in una specie di limbo, in attesa che io o qualche riga di codice lo trasformi nell'entità “Pagina" della mia "Organizzazione".

Ho “scaricato le mie informazioni” ma lì mi sono fermata. E non sono sicura che si possano facilmente importare in un nuovo profilo. E anche quando così fosse, che ne è delle impostazioni personalizzate? Della lista dei libri da leggere? Di quelli letti? Dei gruppi a cui sono iscritta? Delle conversazioni? Dei messaggi? Dei post salvati?  Ha senso recuperare e ripostare contenuti di mesi o anche solo di giorni fa, al di fuori del contesto in cui sono nati? Ha senso invocare la buona fede o la “proprietà” intellettuale per un contenuto ospitato in una bacheca che risiede su un server chissà dove, chissà di chi, per chissà quale accordo commerciale?

Tra l’altro: “gli amici del tuo profilo attuale diventeranno i seguaci della tua nuova pagina”.  Di questo io mi scuso moltissimo, con tutti gli amici.

Una delle prime cose che ho fatto ieri è stato rileggere un post di Monia Taglienti sulla memoria online (qui il suo bell’articolo): “La memoria è il vissuto, è in un certo senso ciò che siamo, è vita.”

Ecco. Facebook, togliendomi per sempre la possibilità di ripercorrere la storia dell’ultimo anno mi ha tolto frammenti, forse impercettibili nel computo di un’intera vita, del mio vissuto. E lo ha fatto da un momento all’altro, senza alcun appello, basandosi sull' assunto che solo il mio nome possa realmente rappresentare me stessa e che un analogo nome utente possa invece tradurmi in un'entità astratta e indefinita.

Molte altre cose potrei aggiungere sul disagio che questo mi provoca ma mi limito a dire solo dei miei prossimi passi.
  1. Lasciare che si completi la trasformazione del profilo in pagina
  2. Valutare se creare un nuovo profilo oppure provare social alternativi (in questo post di Simone Bennati quelli più diffusi)
  3. Eliminare in ogni caso la pagina
Di quest’ultimo punto sono abbastanza sicura: come già detto, nel computo di un’intera vita (anche se qualche frammento sparisce) preferisco continuare a tenere in conto gli amici (per quanto immaginari :-) ) e non la somma dei “mi piace” di una pagina. 

Anna