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giovedì 14 aprile 2016

Il tetto del Pantheon

"dimme er Patheon, no a rotonda!"


Uno degli interventi video del TEDxRoma di quest’anno dal titolo: "To create for the ages, let's combine art and engineering" era di Bran Ferren. 

Bran Ferren è quello che Emilie Wapnick potrebbe definire un multipotenzialista, un maestro delle arti e delle scienze, un uomo universale. La sua pagina Wikipedia lo descrive come un  “American technologist, artist, architectural designer, vehicle designer, engineer, lighting and sound designer, visual effects artist, scientist, lecturer, photographer, entrepreneur and inventor”. 

Nel suo speech la combinazione di arte e ingegneria riguarda un frammento sconfinato e incommensurabile del nostro passato. La prossima volta che ci passeggiate davanti diretti verso una granita al caffè con panna, fateci caso :-).

La storia è questa.

All'età di nove anni, andammo a Roma. Un giorno d'estate particolarmente afoso, visitammo un edificio a forma di tamburo che dall'esterno non era particolarmente interessante. Mio padre disse che si chiamava Pantheon: un tempio per tutti gli dei

Non sembrava così speciale dall'esterno, come dicevo, ma entrandoci, rimasi colpito da tre cose: prima di tutto, era piacevolmente fresco nonostante il caldo soffocante che c'era fuori. Era molto buio, l'unica fonte di luce era una grande apertura sul tetto. Mio padre mi spiegò che si chiamava Oculus, un occhio sul paradiso. E c'era qualcosa in quel posto, non sapevo perché, che lo rendeva speciale. Andando verso il centro, guardai il cielo attraverso l'Oculus. Era la prima chiesa in cui entravo che dava una visione non protetta tra Dio e l'uomo. Ma mi chiesi cosa sarebbe successo in caso di pioggia. Magari mio padre lo chiamava Oculus, ma di fatto era un grande buco nel tetto. Guardai per terra e vidi i canali di drenaggio  scavati nel pavimento di pietra. Mentre mi abituavo al buio, fui in grado di scoprire i dettagli nel pavimento e sui muri circostanti. Niente di particolare, solo qualche statua che si vede in tutta Roma. Sembrava che si fosse presentato lo scultore di turno della Via Appia con il suo campionario, lo avesse mostrato ad Adriano e Adriano avesse detto, "le prendiamo tutte”. :-)

Ma il soffitto era spettacolare

Roma, L' Oculus del Pantheon
L' Oculus del Pantheon 



Sembrava una cupola geodesica di Buckminster Fuller. Ne avevo viste altre, e Bucky era un amico di papà. Era moderna, tecnologica, impressionante, un'enorme apertura di 43 metri che non a caso era anche la sua altezza. Adoravo quel posto. Era veramente bello e diverso da tutto ciò che avevo visto in precedenza, quindi chiesi a mio padre, "Quando è stato costruito?" Mi disse, "Circa 2000 anni fa." E io dissi, "No, intendo il tetto." Davo per scontato che fosse un tetto moderno che era stato costruito perché l'originale era stato distrutto da qualche guerra lontana. Mi disse, "È il tetto originale."

Quel momento cambiò la mia vita.

Per me, le piramidi di Giza, che avevamo visitato l'anno precedente, certamente sono impressionanti, bel design, ma datemi un budget illimitato, 20 000 o 40 000 operai, e 20 o 30 anni per scolpire e trascinare blocchi di pietra per la campagna, e le piramidi le faccio anch'io. Ma nessuna forza bruta mette in piedi la cupola del Pantheon, né 2000 anni fa, né oggi. Casualmente, è ancora la più grande cupola non rinforzata che sia mai stata costruita

Per costruire il Pantheon ci sono voluti i miracoli. Per miracolo intendo cose che sono tecnicamente a malapena possibili, molto rischiose, e potrebbero non essere realizzabili oggi. Per esempio per renderlo strutturalmente possibile, hanno dovuto inventare cemento molto resistente e controllare il peso, modificare la densità dell'aggregato mentre innalzavano la cupola. Per la resistenza e la leggerezza, la struttura della cupola usava cinque anelli di cassettoni, di dimensione decrescente, che impartiscono una prospettiva molto enfatizzata al design. Era straordinariamente fresco all'interno grazie all'enorme massa termale, convettore naturale di aria che risale attraverso l'Oculus e un effetto Venturi quando il vento soffia in cima all'edificio. 

Scoprii per la prima volta che la luce stessa ha sostanza. Il fascio di luce che passava attraverso l'Oculus era sia bello che palpabile, e mi resi conto per la prima volta che si poteva progettare la luce. Non solo, ma che tutte le forme di design, di visual design, erano tutte irrilevanti senza, perché senza luce, non si può vedere niente. Mi resi anche conto che non ero il primo a pensare che quel posto fosse veramente speciale. Era sopravvissuto alla gravità, ai barbari, alle razzie, allo sviluppo e alla devastazione del tempo fino a diventare quello che credo sia l'edificio occupato più longevo della storia.
Roma, Pantheon - Vista della cupola dal Campidoglio
Pantheon - Vista della cupola dal Campidoglio

Roma, Pantheon - Esterno
Pantheon - Esterno

P.S. Nell'inciso iniziale un detto romano dovuto al fatto che la piazza del Pantheon per la toponomastica si chiama “Piazza della rotonda”. Da qui, se si dava appuntamento a qualcuno dicendogli “ci vediamo a Piazza della Rotonda” si poteva venire apostrofati in questo modo, come a dire “usa il nome comprensibile di quel luogo anziché un nome che non conosce nessuno”. Per estensione il modo di dire è diventato di utilizzo comune per dire a qualcuno “non fare giri di parole, chiama le cose col loro nome, sii più diretto e conciso”.


Fonti e approfondimenti:
L’intera conferenza è disponibile qui
TEDxRoma 2016 “Game Changers
Di spazio svelato dalla luce si parla in questo post di Didatticarte
Ancora sul Pantheon

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venerdì 3 aprile 2015

Se potessi avere un Tolix e un cugino architetto

Mi piacerebbe comprare un rudere e ricavarne un loft.

Non uno qualunque, questo


Stando alle riviste di arredamento, chi compra un rudere per ricavarne un loft di solito ha un cugino architetto che poi lo smonta per lasciarci solo i muri:-).

Se potessi avere un cugino architetto e un loft, poi ci metterei uno sgabello

Non uno qualunque, questo.




Ogni volta che dico Tolix, riferito al famoso sgabello creato dal metalmeccanico francese Xavier Pauchard a inizio secolo (in questo articolo tutti i segreti del marchio), sistematicamente mi sento rispondere: “cosa?”. 

Allora prendo atto che ci sono cose che si ripeteranno sempre nello stesso modo e anche se dicessi ogni giorno, tutti i giorni, “guarda questo Tolix” la risposta sarebbe invariabilmente:
“Guardo cosa?”
“Questo!”
“Ah ok, è uguale alle sedie del bar sulla spiaggia in Abruzzo dove andavo da piccolo…”
“Ma è la prima seduta impilabile della storia del design, un'icona, realizzata in metallo della Borgogna, fa parte delle collezioni del MoMA, del Centre Pompidou!”

“Sembra proprio quello del bar di Tortoreto Lido…quanto costa? Ma che davero??? Per uno sgabello del bar Conchiglia? Mortacci…” :-):-)













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sabato 10 gennaio 2015

6 regole per il design scandinavo

In più di un’occasione (già dalla dichiarazione di intenti) abbiamo parlato in questo blog della preferenza di chi scrive per lo stile scandinavo, pur contaminato da elementi di varia natura e origine.
Lo stile scandinavo è fatto di interni candidi, mobili icona, linee pure, ma è anche e soprattutto luce: limpida, immacolata, trasparente, la luce di Vermeer (Vermeer, per dirla come Théofile Thoré, è argento nelle luci, e nelle ombre color Perla…).
Ed è fuor di dubbio che la palette di bianchi per pareti e pavimenti (in parquet sbiancato o resina, talvolta a scacchiera) si sposa al meglio con la mutevole luce degli alti cieli ventosi del nord, anche se l’avanzare di agglomerati urbani a sviluppo verticale che gettano ombre in ambienti sempre più piccoli, ne fa ormai uno stile adatto anche alle nostre latitudini.


Proviamo allora a sintetizzarne le principali regole.

1.I mobili. Per un risultato charmant non possono mai mancare le icone del design, Jacobsen, Hansen, Eames, accostati a pezzi vintage o di recupero scovati nei mercatini.





2.Il living. Non di rado è aperto sulla cucina, un divano confortevole, sedie spaiate, molti cuscini, pelli di animali (agnello, renne), candele, luci giocose, trofei buffi.

3.La cucina. Un must? Il frigorifero retrò e colorato! Per il resto, scaffali aperti e colori neutri, bianco, legno naturale, nero.
4.La camera principale. Può essere arredata con armadi oppure i vestiti, appesi a ganci o appendiabiti, diventano essi stessi “oggetto” decor. Nei piccoli appartamenti la zona notte è spesso parte integrante del living, in armoniosa combinazione con quest’ultimo.
5.Il bagno. Solitamente senza vasca ma non sempre, piastrelle bianche, accessori in legno, dettagli seducenti… Un luogo per l’igiene ma anche per il relax.

6.La palette di colori. Grigio, bianco, nero combinati con legno naturale e oggetti colorati. Il blu è molto presente, il più delle volte in raffinate tonalità chiare.





Fonte: Planet Deco

P.S. a proposito di Vermeer, non trovate che Piccola strada di Delft sia l’immagine più “scandinava” a cui si possa pensare?:-)




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