mercoledì 18 aprile 2018

Primavera digitale

Sono andata a vedere “Ready Player One” ultimissimo film del creatore di storie e sogni Steven Spielberg che sembra presentarci l’ennesima variazione sul tema del futuro distopico (e assai vicino, 2045) mettendo in scena una fuga dalla realtà totalmente tecnologica che si concretizza in un universo virtuale chiamato “OASIS”.

Quella che sembra (e in parte è) una brillante e divertente disamina dei pregi e i difetti del distacco dalla realtà ben presto si rivela anche per qualcosa di molto più sottile e dissacratorio: una carrellata pressoché infinita di citazioni e riferimenti alla cultura pop degli anni ‘80 e ’90: videogiochi, film, fumetti, disco-music e hard rock e chi più ne ha più ne metta. Nel fare questo, e affidando proprio alla conoscenza minuziosa di queste “arti minori” le soluzioni per risolvere il dramma di tutta la vicenda e del mondo intero, ci suggerisce di continuo che la cultura personale, il background, i riferimenti storici di ognuno di noi possono avere un valore estremamente alto, come del resto predicava spesso Umberto Eco (che miscelava anche nelle sue più dotte elucubrazioni i romanzi di alta letteratura ai fumetti più popolari, le considerazioni psicologiche e sociologiche più acute alle strisce dei Peanuts).


OASIS come XANADU?

Quarto potere, uno dei più grandi capolavori della storia del cinema inizia e finisce, con scene di straordinaria tecnica ed atmosfera, su un edificio che rappresenta e simboleggia aspetto, mole e personalità del protagonista della storia.

Come Charles Foster Kane è ispirato alla figura del miliardario William Hearst, così la sua principesca residenza chiamata Candalù (Xanadu in originale) altro non è che l’assurdo e fiabesco Hearst’s Castle, ancora esistente e visitabile sulle colline che dominano la costa californiana vicino Los Angeles. Ciò che Orson Welles fa di Xanadu, oltre ad usarla come sfondo di molte scene fondamentali, è presentarla letteralmente come la proiezione dell’ego e della multiforme personalità del suo ingombrante protagonista (interpretato da lui stesso, quindi volutamente ingombrante anche nel fisico). 
Il Castello enorme e labirintico diventa metafora fisica delle molte anime psicologiche di Kane, i saloni immensi e i corridoi infiniti rappresentano plasticamente l’inaccessibilità e l’incomunicabilità che via via prende possesso della sua vita e dei suoi rapporti umani.

Ecco. Proviamo a ripensare Charles Foster Kane come un nerd dei nostri giorni e avremo James Halliday e il suo mondo virtuale a cui chiunque può accedere, purché in possesso di visore e guanti aptici: OASIS parte da Orson Welles e arriva fino a Spielberg - passando per Kubrick e l’ Overlook Hotel - che a sua volta ricostruisce mondi dove i fantasmi diventano concreti e il virtuale e il reale diventano un tutt'uno.



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Credits: www.danielbrowns.com
E quando Samantha e Wade finalmente si incontrano nella vita reale, Janusz Kaminski  li inquadra nell'orto realizzato sul tetto di una Ville Planète ad alta intensità urbana - Columbus, Ohio, 2045 ma potrebbe essere il Bronx o la Banlieue - come due studenti qualunque della scuola di Stephen Ritz in attesa di una primavera che sembra non voler arrivare. 

E non so se dipende dalla nostra impazienza, o se il tempo delle stagioni è diventato un altro, se è diventato il tempo di Pinterest o di Instagram: è primavera quando nei nostri feed compaiono fiori di pesco e prati di margherite gialle, quando compaiono immagini che cercano di avvicinarsi alla realtà con la post produzione, e viene allora da chiedersi come sarà la stagione della rinascita per tutti i Wade e le Samantha, i Parzival e le Art3mis  cresciuti in metropoli iperconnesse e con un immaginario fatto di pixel.

Tecno-creatori di fiabe digitali

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Credits: www.danielbrowns.com
Poi ci fu quella volta che la tecnologia dei tubetti per i colori aiutò i pittori impressionisti ad afferrare il brivido della luce che cambia, perché permetteva di dipingere en plein air…

In ogni epoca, gli artisti hanno sempre usato i mezzi del loro tempo. Il pixel è l’equivalente moderno della pennellata. Mi sono ispirato anche dal design e dalla ricerca scientifica. Le mie fonti si trovano nella storia dell’arte. Le mie opere digitali proseguono lungo le linee della storia dell’arte del XIX e XX secolo. Molti artisti come Georges Seurat, Paul Cézanne o Claude Monet nel XIX secolo o Piet Mondrian, Victor Vasarely, Andy Warhol, Luciano Fontana, Yves Klein, o Nam June Paik nel ventesimo secolo, sono stati visionari e innovatori nel campo della pittura e non solo. Attraverso le loro varie indagini pittoriche e i loro approcci intellettuali, questi artisti, in un certo senso, per me prefigurano la Digital Art. (Miguel Chevalier)

E poiché mai si parte da una tela completamente bianca, sono i riferimenti che ognuno di noi coltiva per tutta la vita a creare il nostro paradiso artificiale, i nostri profeti e giardinieri

Un paradiso in cui la natura è un’altra cosa: è primavera digitale, è fiaba tecnologica, è Fractal Flowers, è Ultra-Nature, è Trans-Nature, è una nuova estetica che mescola arte e scienza, vita e morte, pixel con materiali, e abolisce ancora una volta i confini tra reale e virtuale per “liberare l’arte (l’uomo?) da ogni costrizione fisica, per trascendere i limiti della società contemporanea” e perché no, dell’Anima Mundi.


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