Il quadro viene concepito nel famoso quartiere parigino dove il pittore viveva in quel periodo, in uno stabile al numero 13 di place Émile-Goudeau, il Bateau-Lavoir, e incredibilmente lì rimane, al chiuso, per quasi nove anni (sembrava che lo stesso autore ne temesse l’impatto devastante che poi di fatto la sua uscita pubblica avrebbe provocato nel mondo dell’arte).
Nonostante la sua forzata reclusione, il quadro inizia ugualmente a vivere e a comunicare. In quella casa vanno altri artisti, a vederlo. Entrano, guardano, ne escono con una visione dell’arte e del mondo completamente sconvolta. Così le damigelle di un oscuro bordello di rue d’Avignon di Barcellona (un’altra casa “chiusa”) cominciano a fare sentire la loro voce, e a cambiare l’arte moderna, prima ancora di uscire di casa.
Alla fine Picasso le farà uscire. E la loro straordinaria modernità esploderà finalmente in un mondo già pronto ad accoglierle. Da Montmartre, finiranno poi dopo lunghi percorsi al MoMa di New York, museo deputato ad accogliere le rivoluzioni visive e percettive del novecento.
Negli anni settanta, abbondantemente chiuso il cubismo nella pittura, i cubi si riaffacciano prepotentemente in architettura.
Un progetto visionario di Piet Blom, architetto olandese, immagina un complesso di case come alberi di un bosco, ma con spirito “cubista” trasforma le chiome degli alberi in cubi veri e propri, rovesciati e in equilibrio su uno dei loro otto spigoli, e inventa letteralmente gli spazi interni in funzione di questa avveniristica e provocatoria forma esterna, che da forma diventa sostanza abitativa.
Verranno realizzate tra il 77 e l’85, a Rotterdam, a Helmond e anni dopo anche in Canada. Le persone ci abitano, ci vivono. Insomma in qualche modo funzionano. (Sono decisamente anni cubici, nel 1980 esploderà in tutto il mondo un altro cubo, invenzione di un ingegnere ungherese, tale Rubik…).
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