Perché i tecnici del suono, delle luci, delle reti, ecc., quelli insomma che arrivano per collegare il portatile al proiettore e sistemare il microfono hanno sempre vent'anni e i capelli rasta?
La sala Petrassi dell’Auditorium ospita, nel primo fine settimana romano di bel tempo della stagione, Amedeo Balbi, astrofisico, divulgatore e scrittore e Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Ancora un festival, stavolta delle scienze, e il tema della Lectio Magistralis di quest’afosa domenica, è affascinante: come il cinema guarda le stelle.
C’è sempre stato un interesse molto forte del cinema verso l’Universo. Un rapporto strettissimo che parte da Viaggio nella Luna (1902, ispirato a “dalla terra alla luna” di Jules Verne) e continua con 2001 Odissea nello spazio (1968) che è in realtà un film sulla "ricerca di senso", e poi Apollo 13 (1995) che ha dato probabilmente origine a uno dei primi fenomeni virali e duraturi in tema di citazioni cinematografiche con la famosa frase: "Houston, we have a problem".
Da questo punto in poi fantasia, storia, scienza si incontrano.
Il cinema di genere degli ultimi anni racconta storie non vere ma certamente verosimili: siamo andati sulla luna, sulla coda di una cometa, è stato misurato lo spazio interstellare, si parla di raggi cosmici, di antimateria, di buchi neri. “Non è più fantascienza - racconta Battiston - è scienza.”
Una passione, quella del cinema per lo spazio, che torna prepotente negli ultimi anni con pellicole come Gravity (2013) in cui tutti i movimenti, le luci, i giochi sono calcolati dal computer - artigianato dell'illusione è stato definito - e ancora di più con Interstellar (2014), il film che è anche uno strepitoso tributo ad Albert Einstein.
La storia è stata scritta da Kip Thorne un astrofisico (che potrebbe essere il prossimo premio Nobel per la fisica) che ha lavorato per 12 anni con il regista Nolan a partire dalla fisica nota, immaginando mondi possibili e basando il resto del racconto su quella speculativa (Tesseract, Wormhole, ...).
Con questo film si dice abbia dato addirittura un contributo al progresso scientifico grazie alla “visualizzazione” di alcune teorie.
Sulla necessità di “visualizzare” mi scontro quasi ogni giorno: per quanto si possano produrre documenti approfonditi, dettagliati e perfino approvati ci sarà sempre qualcuno che alla vista del prototipo o del Mockup cadrà da un pero.
La mia pregiudizievole idea dunque, indotta dal confronto quotidiano con utenti di applicazioni web recalcitranti alle parole che necessitano di “visualizzare” e la mia personale visione che riterrebbe invece sufficiente uno “sforzo di fantasia”, richiede un cambio di prospettiva: accettare che lo studio, l’approfondimento, la ricerca, l’intuizione, l’applicazione, la sperimentazione, l’ingegno, la creatività e la passione con cui ci adoperiamo ogni giorno per mostrare cose che altrimenti non saremmo in grado di far vedere non è (mai) fatica sprecata e potrebbe addirittura un giorno trasformarsi nella scintilla che ci farà fare il prossimo salto in avanti.
P.S. Sulla domanda in incipit non ho finora trovato risposta soddisfacente e sono ben accetti suggerimenti;-).
La sala Petrassi dell’Auditorium ospita, nel primo fine settimana romano di bel tempo della stagione, Amedeo Balbi, astrofisico, divulgatore e scrittore e Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Ancora un festival, stavolta delle scienze, e il tema della Lectio Magistralis di quest’afosa domenica, è affascinante: come il cinema guarda le stelle.
C’è sempre stato un interesse molto forte del cinema verso l’Universo. Un rapporto strettissimo che parte da Viaggio nella Luna (1902, ispirato a “dalla terra alla luna” di Jules Verne) e continua con 2001 Odissea nello spazio (1968) che è in realtà un film sulla "ricerca di senso", e poi Apollo 13 (1995) che ha dato probabilmente origine a uno dei primi fenomeni virali e duraturi in tema di citazioni cinematografiche con la famosa frase: "Houston, we have a problem".
Da questo punto in poi fantasia, storia, scienza si incontrano.
Il cinema di genere degli ultimi anni racconta storie non vere ma certamente verosimili: siamo andati sulla luna, sulla coda di una cometa, è stato misurato lo spazio interstellare, si parla di raggi cosmici, di antimateria, di buchi neri. “Non è più fantascienza - racconta Battiston - è scienza.”
Una passione, quella del cinema per lo spazio, che torna prepotente negli ultimi anni con pellicole come Gravity (2013) in cui tutti i movimenti, le luci, i giochi sono calcolati dal computer - artigianato dell'illusione è stato definito - e ancora di più con Interstellar (2014), il film che è anche uno strepitoso tributo ad Albert Einstein.
La storia è stata scritta da Kip Thorne un astrofisico (che potrebbe essere il prossimo premio Nobel per la fisica) che ha lavorato per 12 anni con il regista Nolan a partire dalla fisica nota, immaginando mondi possibili e basando il resto del racconto su quella speculativa (Tesseract, Wormhole, ...).
Con questo film si dice abbia dato addirittura un contributo al progresso scientifico grazie alla “visualizzazione” di alcune teorie.
Sulla necessità di “visualizzare” mi scontro quasi ogni giorno: per quanto si possano produrre documenti approfonditi, dettagliati e perfino approvati ci sarà sempre qualcuno che alla vista del prototipo o del Mockup cadrà da un pero.
La mia pregiudizievole idea dunque, indotta dal confronto quotidiano con utenti di applicazioni web recalcitranti alle parole che necessitano di “visualizzare” e la mia personale visione che riterrebbe invece sufficiente uno “sforzo di fantasia”, richiede un cambio di prospettiva: accettare che lo studio, l’approfondimento, la ricerca, l’intuizione, l’applicazione, la sperimentazione, l’ingegno, la creatività e la passione con cui ci adoperiamo ogni giorno per mostrare cose che altrimenti non saremmo in grado di far vedere non è (mai) fatica sprecata e potrebbe addirittura un giorno trasformarsi nella scintilla che ci farà fare il prossimo salto in avanti.
Robot di Metropolis (Fritz Lang, 1927) - Cinémathèque française di Parigi |
P.S. Sulla domanda in incipit non ho finora trovato risposta soddisfacente e sono ben accetti suggerimenti;-).
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