La strada che percorro quotidianamente per andare al lavoro, negli inverni particolarmente piovosi si allaga in diversi punti, non di rado bisogna abbandonare la macchina e sperare di ritrovarla intatta al refluire delle acque. La manutenzione di mezzi pubblici, strade, aree verdi, infrastrutture tout court, sembra essere un concetto estraneo all’amministrazione capitolina.
Il brutto, scrive Mantellini, è una specie di droga.
In questi giorni di j’Accuse ho ripensato ai motivi per cui mi sono trasferita da una graziosa cittadina adagiata sul fiume Liri, incorniciata dai monti Simbruini, a due passi dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e, sopratutto, se valgono sempre (che poi sono banalmente le motivazioni dei più: lavoro, affetti, opportunità sociali e culturali).
Certo fa caldo a Roma, c’è traffico e non ci sono parcheggi (rievoco un monologo di Joele Dix: “se trovo un parcheggio sotto casa piuttosto che prendere la macchina ne compro un’altra” :-)). Problema, almeno quest’ultimo, non del tutto irrisolvibile: potrei decidere di trasferirmi di nuovo in campagna, di comprare un box, di utilizzare solo i mezzi pubblici o il car sharing, alle brutte di muovermi a piedi o in bicicletta.
Ma come si fa a non lamentarsi? Roma è bella ma non ci vivrei. Ecco. Questa frase mi sembra illuminante: mica è necessario stare tutti qui, si può benissimo decidere di andare altrove.
Se poi si sceglie una metropoli analoga (che non sia Parigi;-)) la questione potrebbe ripresentarsi identica: come sostiene il fisico Geoffrey West le città “sono solo una massa confusa di persone, che vanno a sbattere le une contro le altre e al massimo hanno in comune un paio di idee”.
Poi mi capita di sentire dei bravi milanesi che “spalano la neve” e penso a quanto sono stronzi invece questi romani che non fanno una benemerita mazza tutto il giorno, ma per non farlo devono per forza spostarsi in un preciso luogo dell’ozio e questo luogo dev’essere per forza un punto raggiungibile unicamente dal Grande Raccordo Anulare, motivo per cui a qualsiasi ora del giorno li trovi in fila a smadonnare. E solo perché a Roma non nevica abbastanza.
La verità è che gli stessi problemi li troviamo ovunque identici ed esatti, li portiamo con noi, sono il nostro bagaglio e risiedono essenzialmente nella generalizzata mancanza di rispetto per il bene pubblico.
Perché la qualità della (mia) vita potrebbe migliorare con pochi gesti: basterebbe non dico pettinare il muschio ma non occupare due parcheggi per riservarne uno al famigliare che arriva a casa più tardi, non costringermi a saltellare tra gli escrementi del cane lasciati a seccare sul cancelletto d’entrata, non scagliare il sacchetto dei rifiuti dal finestrino dell’auto in corsa affinché vada a schiantarsi ai piedi del cassonetto, non utilizzare balconi e pianerottoli come rimessa, trasformando in un campo profughi le aree comuni perché anche il bello, dico io, è una specie di droga.
Roma caput mundi nel malcostume diffuso dunque, ma attenzione.
Nessuno si senta escluso.
P.S. La mia riconoscenza ad Annamaria Testa per avermi ispirato il titolo (e le riflessioni) di questo post a partire dai giardinieri:-).
Nessuno si senta escluso.
P.S. La mia riconoscenza ad Annamaria Testa per avermi ispirato il titolo (e le riflessioni) di questo post a partire dai giardinieri:-).
Ispirazione e fonti:
Francesco De Gregori,
La storia (dall’album Scacchi e Tarocchi)
Foto: scorci di Roma
Follow my blog with Bloglovin
Nessun commento:
Posta un commento