Il 25 agosto per me non è un giorno come un altro.
È il compleanno di mia madre, il giorno in cui fu liberata Parigi ed è anche il giorno in cui Facebook ha deciso di bloccare il mio account.
Le tre cose si sono ricomposte, per qualche strano caso, proprio questo 25 agosto 2015, ieri, più o meno verso le 18. Un giorno come un altro finché non ho visto questo tweet del sindaco di Parigi.
Leggo e affiora alla mente l’eroina della resistenza Paulette Duhalde e la lunga “Lettera” a mia madre (poi promossa a video, per chi volesse approfondire qui il testo e il link al video) che avevo scritto su di lei al ritorno dalla Normandia. Penso di ripostarla su Facebook in questa ricorrenza, entro nel mio account, clicco sul pulsante “Pubblica” et voilà!
Il mio Account è sparito, al suo posto compare questo messaggio.
Ora, a scanso di equivoci, vorrei dire che questo è il risultato di due errori ascrivibili senza ombra di dubbio alla sottoscritta: mancanza di informazioni e pregiudizio.
Pregiudizio derivante dal considerare il social per antonomasia riservato al solo cazzeggio. Mancanza di informazioni sul rischio associato alla creazione di un profilo personale Facebook con lo stesso nome di una pagina.
A distanza di un anno ho riconsiderato, nel tempo e con l’uso, proprio quelle dinamiche social di cui pontificavo l’inutilità, aderendo a quelle stesse che improvvisamente erano fatte di scambi, condivisioni, approfondimenti, incontri, relazioni. Ho cominciato ad utilizzare quasi esclusivamente il profilo, a cancellare con nonchalance le mail di Facebook che mi ricordavano che “questa settimana” nessuno aveva messo il “mi piace” alla pagina e in ultima analisi a tenere in conto gli amici e basta.
C’è stato un momento in cui ho pensato di cambiare il nome al profilo utilizzando il mio nome e cognome ma con la leggerezza di chi pensa che “tanto si può fare in qualsiasi momento” e che qualunque cosa succeda c’è sempre il back-up e restore, ho abbandonato l’idea per dedicarmi alle mille altre faccende che ogni giorno, in parte, ho condiviso su quello stesso profilo.
Per questo di fronte al messaggio supponente un uso “non individuale” del profilo, mi sono detta: “ci dev’essere sicuramente un modo di spiegare ai signori di Facebook che non sono un’organizzazione”.
Beh, se c’è, io non sono riuscita a trovarlo.
Ho scoperto che non è possibile avere contatti diretti con chicchessia, che il Centro assistenza di Facebook è una matrioska di link che si aggrovigliano su se stessi e non portano da nessuna parte, che non è possibile chiedere un ripristino dell'account motivandolo perché non è realmente “disabilitato” ma in una specie di limbo, in attesa che io o qualche riga di codice lo trasformi nell'entità “Pagina" della mia "Organizzazione".
Ho “scaricato le mie informazioni” ma lì mi sono fermata. E non sono sicura che si possano facilmente importare in un nuovo profilo. E anche quando così fosse, che ne è delle impostazioni personalizzate? Della lista dei libri da leggere? Di quelli letti? Dei gruppi a cui sono iscritta? Delle conversazioni? Dei messaggi? Dei post salvati? Ha senso recuperare e ripostare contenuti di mesi o anche solo di giorni fa, al di fuori del contesto in cui sono nati? Ha senso invocare la buona fede o la “proprietà” intellettuale per un contenuto ospitato in una bacheca che risiede su un server chissà dove, chissà di chi, per chissà quale accordo commerciale?
Tra l’altro: “gli amici del tuo profilo attuale diventeranno i seguaci della tua nuova pagina”. Di questo io mi scuso moltissimo, con tutti gli amici.
Una delle prime cose che ho fatto ieri è stato rileggere un post di Monia Taglienti sulla memoria online (qui il suo bell’articolo): “La memoria è il vissuto, è in un certo senso ciò che siamo, è vita.”
Ecco. Facebook, togliendomi per sempre la possibilità di ripercorrere la storia dell’ultimo anno mi ha tolto frammenti, forse impercettibili nel computo di un’intera vita, del mio vissuto. E lo ha fatto da un momento all’altro, senza alcun appello, basandosi sull' assunto che solo il mio nome possa realmente rappresentare me stessa e che un analogo nome utente possa invece tradurmi in un'entità astratta e indefinita.
Molte altre cose potrei aggiungere sul disagio che questo mi provoca ma mi limito a dire solo dei miei prossimi passi.
- Lasciare che si completi la trasformazione del profilo in pagina
- Valutare se creare un nuovo profilo oppure provare social alternativi (in questo post di Simone Bennati quelli più diffusi)
- Eliminare in ogni caso la pagina
Anna
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