venerdì 5 febbraio 2016

Signora, non si possono fare fotografie

La signora del titolo sono io, al Museo dell’Ara Pacis, in fila per Toulouse-Lautrec. 
Comincio subito con una sottile vena polemica e chiedo se per “sconto famiglia” s’intende: mamma-papà-bambino… Ottengo una riduzione di due euro perché pago con una Mastercard.

In mostra la collezione del Museo di Belle Arti di Budapest che comprende manifesti, illustrazioni, copertine di spartiti e locandine, alcune delle quali, recita uno dei pannelli, sono autentiche rarità perché stampate in tirature limitate, firmate e numerate e corredate dalla dedica dell'artista.

Ecco, i pannelli. Cosa ne faranno dei pannelli una volta che è tutto finito? Li buttano? Li riciclano? Li usano per arredarci casa?

Nell'attesa di un futuro ipertecnologico in cui si potranno consultare le informazioni dalla retina collegata direttamente a Wikipedia o da schermi trasferibili, prendo lo smartphone e scatto la foto a un pannello. Il mio gesto attira l’attenzione di un’addetta che si avvicina furtiva e felpata e con il cipiglio perentorio  della sorella maggiore di Occhi di Gatto bisbiglia: "Signora, non si possono fare fotografie"

Non so se è l’appellativo o se invece è il ritmo sussurrato della frase: Signora-virgola-pausa-negazione, sta di fatto che improvvisamente si profilano davanti ai miei occhi, i protagonisti di decine di film d’azione - da Bruce Willis a  Vin Diesel passando per Jean Claude Van Damme -  in cui il protagonista termina l’ impiegata del museo che si rivela essere un narcotrafficante e si chiama Kelly, proprio come la sorella maggiore di Occhi di Gatto.

La sedia del D'Orsay 

Ricordo almeno un’altra occasione in cui la mia pazienza, che ammetto essere pochina, fu messa a dura prova. Nel 2013, durante una visita al Musée d'Orsay, appuriamo che è severamente vietato fare foto e in quel momento la mia immaginazione sfrenata vede il Direttore del Museo mentre cerca di fermare il sangue che gli esce dal naso alla vista di Courbet immortalalo per sempre insieme a un bastone da selfie. 

Il divieto riguardava anche le bellissime sedute di design a disposizione del personale e alla prima inquadratura della sedia ci siamo beccati una ramanzina in francese, ma prima che il mio spirito bagarreuese avesse il sopravvento e mi mettesse definitivamente nei guai, sono stata fortunatamente distratta da Olympia.

Ora che ci penso anche in occasione della mostra di Henri Cartier-Bresson, sempre all’Ara Pacis, mi era sembrato alquanto ironico che non si potessero fare fotografie. 
Sedia design - Musèe d'Orsay


Signora, non si possono fare fotografie

Al di la della mia incazzatura vale forse la pena di riflettere un momento sulla fruibilità e sulle scelte di alcuni musei. Non solo i nostri, il panorama è abbastanza variegato anche all'estero. 

Personalmente cerco di approfittare di ogni occasione per visitare musei e mostre, forse anche per colmare una lacuna che arriva da lontano: quando iniziai a studiare storia dell’arte al liceo l’insegnate stava per andare in pensione ed era spesso assente per cui veniva sostituita da supplenti che si avvicendavano senza continuità e senza possibilità di portare a termine un programma serio. In seguito i miei studi sono andati in tutt'altra direzione, per cui resta alla volontà autodidatta l’approfondimento di un ambito che ritengo fondamentale per la formazione, la crescita personali, l’osservazione del mondo.

Perciò sì, mi incazzo come una iena se qualcuno mi impone di non fare foto a un pannello costringendomi a fare la fila per riuscire a leggere e prendere appunti, mi incazzo se la guida di un gruppo urla tanto da sovrastare l’audio dei video diffusi durante la mostra, mi incazzo perché non capisco come sia possibile che chi si circonda di bellezza non aspiri a condividerla e divulgarla, come si possa pensare di vivere in un mondo interconnesso ma incomunicabile, come si possa trascurare il fatto che la comunicazione è business e se pubblico su Instragram la foto di Miss Loïe Fuller, o ne racconto la storia struggente altri vorranno vederla o saperne di più.

Per inciso, Loïe Fuller attrice e danzatrice conturbante, ideatrice di danze avanguardiste basate sugli effetti combinati dei movimenti del corpo con vesti e bagliori di luci, morì di cancro probabilmente per le radiazioni ionizzanti emesse dal radium di cui erano intrise le ali di farfalla con le quali si esibiva e che rendevano fluorescenti i suoi spettacoli.


Miss L. Fuller

Le donne di Toulouse 

Toulouse Lautrec era un pittore e un incisore. Amava ritrarre le donne, molte erano prostitute.

Di lui Jean Bouret dice: con la sua opera, Lautrec libera il mondo della pittura da tutti i tabù correnti, come aveva fatto Caravaggio nel suo tempo, come aveva fatto Courbet. L’uomo che colloca il cavalletto nei postriboli, e nello stesso tempo solleva un angolo di sipario su una società fin allora nascosta, crea una tecnica pittorica nuova.

Le prostitute di Touluse-Lautrec vivevano nella clausura delle case di piacere di Montmartre e il ritratto che ne fa l’artista è quasi documentario: momenti di svago, istanti di intimità, di tenerezza. 

Talvolta invece portava il cavalletto nei Caffè o nei locali notturni e da lì ha continuato a tratteggiarle, incessante, fino alla morte. 

[…] Il pittore Toulouse-Lautrec in questi giorni è stato ricoverato in una casa di cura. […] Non vende più l’arte, non compra più l’amore: è beato. (Emile Lepelletier, L’Echo de Paris, 28 marzo 1899).

La dance au Moulin Rouge

La dance au Moulin Rouge è una delle opere presenti alla mostra.  

È datata 1897 e  ritrae due donne che ballano. Probabile, visto che non era inusuale in quel contesto, che le due fossero anche amanti. 

Mi piace pensare che si tratti di due donne libere. 

Mi piace pensare che la libertà possa essere perseguita in molti modi, anche aprendo le porte dei nostri musei, nelle forme e con le opportunità offerte dalla nuove tecnologie e non chiudendole a chiave, come i bordelli parigini della Belle Époque.


Henri de Toulouse Lautrec - La danse au Moulin Rouge





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