Mi sono svegliata stamattina con il ricordo limpido di una scossa di terremoto.
Ero al lavoro, le pareti hanno iniziato a tremare, una frazione di secondo per rendersi conto di quello che stava succedendo e attuare la prima cosa che evidentemente farei in una situazione del genere: ripararmi nel vano di una porta.
Ho la netta sensazione che fu la mia maestra delle elementari a dettare al mio inconscio quell'unica precauzione. La mia maestra delle elementari è anche l’unica persona a godere del credito assoluto che un suo insegnamento potrebbe, un giorno, salvarmi la vita.
L’edificio ha smesso quasi subito di tremare e la seconda cosa che ho fatto è stata affacciarmi (ero a un piano alto del palazzo) per cercare mia sorella. L’ho vista nel piazzale antistante, sana e salva. Poco dopo mi sono svegliata.
Un terremoto è uno strappo doloroso. Una perdita indicibile. Perdiamo i nostri affetti, persone e cose. Senza preavviso. E se abbiamo l’ardire di sopravvivere ad un evento simile, per tutta la vita continuiamo a cercare, sperando di ritrovarli intatti, sperando di riconoscere in mezzo alla folla raccolta in un anonimo piazzale qualcuno o qualcosa che alberga il nostro cuore e la nostra anima, altrimenti spezzata.
Ma quella di stanotte era evidentemente un’esercitazione, non portava con se né angoscia, né sollievo.
Eventi traumatici, punti di rottura, squarci. Riflettevo su questo nei giorni trascorsi.
Ma quante volte non è un evento esterno e imprevedibile quanto piuttosto la nostra presunzione a fare tabula rasa? Quante volte progettiamo il vuoto?
Possibile che non ci sia nulla da imparare da chi, prima di noi, ha fatto le stesse cose?
Possibile che sia che si tratti del sindaco di una grande città, del responsabile marketing di una grande azienda o di un nuovo fornitore che subentra in un appalto, l’idea di partenza è: adesso vi faccio vedere io? Quante volte il nuovo che avanza è decontestualizzato e nella nostra pretesa di essere “visionari” portiamo invece un bagaglio (quello sì, non potendo fare tabula rasa anche di noi stessi) che appesantisce adattabilità e prontezza, azzera le differenze, coopta, riproduce fantomatici schemi di successo utilizzati in contesti simili?
Possibile che chi è venuto prima è, per definizione, il peggio che poteva capitare?
Diamine, per tutta la vita ho ringraziato le ex dei miei fidanzati! Pensa ricominciare da zero;-).
Non dovremmo tendere verso l’ars combinatoria come spiega benissimo Annamaria Testa in questo post?
Non dovremmo cercare oggetti smarriti da altri, ripercorrere le stesse strade, riscoprire identiche situazioni e ricombinare tutto in modo creativo ovvero con quella capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove, che siano utili?
Il nuovo non si costruisce sul nuovo. Se così fosse, se nulla va salvato, stamattina nel mio sogno avrei guardato il piazzale antistante l’edificio e sarebbe stato miseramente vuoto.
P.S. Le foto sono del progetto di Marine Leriche, Object Trouvés, uno dei padiglioni dell’edizione 2015 Outdoor Festival – Here now.
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