sabato 8 novembre 2014

New York: il grigio per i vivi, il verde per i morti

Fra cento anni uno studioso della preistoria web forse radunerà queste pagine e ci dirà con esattezza chi eravamo e cosa diavolo stavamo facendo da queste parti. Noi nel frattempo riposeremo in qualche posto meno affascinante di Highgate.
Massimo Mantellini, La vista da qui 

Nell’autunno del 2011 ero a New York con il mio compagno, tappa conclusiva di un viaggio “on the road” che aveva toccato diversi stati (California, Utah, Arizona, Nevada).

Approdare nella grande mela dopo settimane di Highway senza fine e paesaggi sconfinati (dalle valli glaciali dello Yosemite all’azzurra sinuosità delle coste pacifiche del Big Sur, passando per le aperture sterminate del Grand Canyon e l’accecante inafferrabilità della Death Valley…) ci ha causato qualche attimo di smarrimento (quell’ansia sottile e misconosciuta di uscire di casa e farsi massa, tutt’uno con quel microcosmo dinamico, mosso da un ritmo invisibile e convulso. Nasceva la folla...[i]) ben presto mitigato dal riconoscere la metropoli di tanti libri, film, spot pubblicitari, serie televisive... (tutti hanno visto new York senza averci mai messo piede...[ii]).

Una mattina presto, passeggiando per Manhattan, ci siamo imbattuti in quel piccolo strano gioiello che sembra richiamare, proprio all'imbocco di Wall Street, i limiti umani di fronte all'apparente onnipotenza del denaro, Trinity Church, un'oasi di pace nel caos del Financial District, reso ancora più indimenticabile dal minuscolo cimitero storico che lo circonda.

A New York il grigio è per i vivi, il verde per i mortifu la considerazione del mio compagno. Solo i pensieri nati camminando hanno valore, scriveva Nietzsche, ma anche senza scomodare i padri della filosofia, mi sembrò una riflessione di illuminante profondità…

Continuammo la passeggiata ma non potevo fare a meno di ripensare al cimitero della Trinity Church, a quanto fosse diverso dai moderni loculi multipiano dove il grigio-calcestruzzo abbonda e il verde è relegato in modeste aiuole, confuse e poco curate.



Non c’è più spazio nelle metropoli. E non c’è più tempo, perché il tempo è denaro.

Non c’è più spazio per panchine all’ombra dei cipressi e non c’è più tempo per passeggiare fino alla tomba del proprio congiunto per sfiorarne la superficie e il ricordo.

E allora eccoci qui, stipati, anche da vivi, in scatole di cemento livido dove non c’è più posto neanche per il ricordo della vita dopo la morte.





[i] Roberta Scorranese, Dalle tele di Camille Pissarro ai racconti di Edgar Allan Poe. Il fascino sottile e inquietante della moltitudine moderna
[ii] Corrado Augias, I segreti di New York

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