Questa storia, la storia di Anne Frank nell'interpretazione della compagnia teatrale Rumori di scena, porta con se mille sfaccettature: crea un ponte con il passato; affonda in profondità le radici in un mestiere - quello dell’attore - che disintermedia e incrina la corazza di indifferenza verso la sofferenza altrui (indifferenza fortificata dall'ammaestramento continuo delle nostre percezioni ad opera della brutalità che scorre nei nostri feed); si inserisce con naturalezza in un contesto fatto di vita reale e virtuale, di realtà e fantasia, di verità e finzione.
Per chi scrive, l’approccio virtuale è questo post, è la conversazione con l’autrice, scrittrice, regista, è il prepararsi al momento reale, al buio della sala. È seguire le briciole di chi ritiene una buona idea rimettere mano a uno dei libri più noti al mondo nella convinzione che abbia ancora una storia da raccontare ("un caso editoriale senza precedenti”, tradotto in 60 lingue, venduto in più di 30 milioni di copie, trasposto in opera teatrale, pellicola cinematografica, serie tv, cartone animato).
Per chi questa storia la racconta può dirsi virtuale l’espediente narrativo che permette, tra le altre cose, di delineare in modo originale anche gli altri personaggi: il padre Otto, la madre Edith, la sorella Margot, Peter il figlio della coppia con cui i Frank condividono il rifugio, e naturalmente Miep, l'amica di famiglia che ha aiutato i Frank a nascondersi.
Per alcuni si tratta di metateatro. O Inventiva. Per taluni talento, per altri immaginazione. La stessa che ha aiutato Anne, e aiuta noi, a uscire dai confini delle nostre prigioni o dei nostri monitor.
Nota a margine: mi capita spesso, benché non quanto vorrei, di assistere a spettacoli simili in piccoli teatri semisconosciuti ed è facile rendersi conto di quanto sia complicato per chi li gestisce, in questi tempi di pane e companatico, resistere alla tentazione di trasformare questi spazi culturali nell'ennesimo locale specializzato in brunch o apericena. Tuttavia, per dirla con le parole di Annamaria Testa, cultura è l’insieme di conoscenze che formano la personalità e la capacità critica di un individuo, e l’insieme di conoscenze propria di un intero popolo, e l’insieme delle sue credenze e tradizioni. Dentro al concetto di cultura, dunque, c’è anche identità, capacità, espressione di sé come persone e come comunità, progetto, immaginario, memoria del passato e proiezione nel futuro, evoluzione, orgoglio e senso di sé e mille altre cose. Insomma: tirate via la cultura, e sia i popoli sia gli individui si riducono al proprio essere fenomeno biologico.
Che fare dunque? Beh, nel dubbio preferisco pensare che in fin dei conti siamo tutti attori alla ricerca di Anne e che quegli stessi schermi che addestrano il nostro sguardo al degrado del mondo, possano allo stesso modo diffondere conoscenza, consapevolezza e memoria.
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