Andrea Palladio, architetto veneto del ‘500, è talmente
importante per la storia dell’architettura, non solo italiana, che Il congresso
degli Stati Uniti nel 2010 lo ha nominato “padre dell’Architettura americana”.
E non è una forzatura. Tutta l’architettura istituzionale e civile degli Stati
Uniti dal 700 fino a buona parte dell’800 è indiscutibilmente e dichiaratamente
Palladiana (e così anche in Inghilterra). Basta pensare alla Casa Bianca di
Washington. Purissimo palladianesimo. (E non solo: sicuramente avrete fra le
mani una banconota americana da due dollari del 1958.
Bene, guardate la casa di
Jefferson in Virginia che vi è riprodotta sopra).
Ma l’architetto padovano si può anche considerare a tutti gli
effetti il primo vero paesaggista della storia. Lo testimoniano in modo
inequivocabile i suoi capolavori ancora oggi sparsi fra le campagne venete. Le
ville. I luoghi dove più che altrove ha concepito, progettato e realizzato la
sua idea di una architettura totale, che considera la natura, il giardino e la
villa come una sola entità. Un passaggio graduale dall’istinto alla logica, e
viceversa. Palladio non si limitava a progettare edifici. Studiava il luogo, la
natura circostante, e progettava il giardino con la stessa attenzione che
dedicava alle mura della Villa. Il giardino era letteralmente il luogo di
passaggio dalla natura incontrollata alla dimora razionale e funzionale
destinata ad ospitare l’uomo. Un vero portale. Nel giardino le forme della
natura acquistavano la geometria e le prospettive necessarie ad arrivare con la
giusta consapevolezza alle linee logiche e totalmente controllate dell’edificio
umano.
Due esempi per tutti. Villa Alberico, detta “la Rotonda” (perché
ispirata senza mezzi termini al divino Pantheon di Roma), subito fuori Vicenza.
Al di là delle perfette proporzioni studiate e messe in atto dall’architetto
colpisce, in questo monumento alla perfezione, un’idea semplice che diventa
magnifico gioco di prestigio. La struttura monumentale e classicheggiante si
ripete identica sui quattro lati della costruzione, in questo modo evidenziando
la centralità della struttura e al tempo stesso provocando una specie di
disorientamento nell’osservatore. Ma soprattutto ottenendo lo straordinario
effetto di presentare lo stesso equilibrio di proporzioni e di forme proiettato
ogni volta su sfondi naturali diversi. Con grande gioco da illusionista, il
Palladio fa sì che l’osservatore, cambiando il punto di vista, non si trovi a
vedere l’opera da un’altra angolazione come accade normalmente, ma si trovi
bensì a vederla con la stessa angolazione, ma circondata ogni volta da un
paesaggio diverso.
Poi, vicino Treviso, nella campagna di Maser, il capolavoro.
Villa Barbaro. Mai come qui la natura circostante, in particolare il bosco,
diventa parte del progetto, sfondo su cui si proietta la massa elegante e
ritmica della villa. Il giardino si esibisce in una breve prospettiva diritta e
regolare, siepi e muretti, guidando lo sguardo verso quello che appare quasi
come un disegno a due dimensioni, o meglio ancora ad una splendida e gigantesca
diapositiva a colori proiettata sullo sfondo verde scuro del boschetto
retrostante. Villa e facciata si identificano, estendendosi in larghezza.
Simmetricamente rispetto all’ingresso principale ancora una volta richiamante la
struttura classica del tempio greco. Ma il tempio non domina, partecipa senza
eccesso di presunzione, raggiunto in altezza dalla chiusura delle due ali, a
destra e a sinistra. E le ali stesse possiedono una personalità spiccata,
traforate da profondi loggioni con archi a tutto sesto che danno il LA ad un
ritmo regolare ed elegante.
Qui entra in gioco anche la musica. A destra e sinistra del corpo principale si da il via ad un vero e proprio ritmo musicale, una base ritmica portata avanti da due strumenti entrambi accordati sulla stessa tonalità. Una ritmica però non bassa, non di puro sottofondo. Più viole che contrabbassi. Al termine delle due ali, il ritmo si chiude con due diverse meridiane, enormi, sistemate con la stessa dignità e le stesse soluzioni grafiche dei grandi orologi nei grandi edifici. E il loro essere meridiane, quindi orologi solari, conferisce loro una dignità e un senso ancora maggiori in rapporto all’intera struttura, come evidente tramite tra la cultura e la natura, in questo caso la luce del sole.
Qui entra in gioco anche la musica. A destra e sinistra del corpo principale si da il via ad un vero e proprio ritmo musicale, una base ritmica portata avanti da due strumenti entrambi accordati sulla stessa tonalità. Una ritmica però non bassa, non di puro sottofondo. Più viole che contrabbassi. Al termine delle due ali, il ritmo si chiude con due diverse meridiane, enormi, sistemate con la stessa dignità e le stesse soluzioni grafiche dei grandi orologi nei grandi edifici. E il loro essere meridiane, quindi orologi solari, conferisce loro una dignità e un senso ancora maggiori in rapporto all’intera struttura, come evidente tramite tra la cultura e la natura, in questo caso la luce del sole.
Il tocco finale, il bosco retrostante, alberi ad alto fusto a
formare un fondale compatto che si estende per tutta la larghezza della
facciata, posta in diretto rapporto con esso, perché le cime degli alberi, di
diverse altezze e forme non possono non essere confrontate con il profilo della
villa, che diventa così in modo evidente la rappresentazione geometrica ed
ideale delle proporzioni e delle forme della natura.
Villa Barbaro però nasconde un altro tesoro. Gli interni,
interamente affrescati da un altro grande maestro, Paolo Caliari detto il
Veronese, riprendono, si integrano, completano il progetto architettonico e
paesaggistico, portando il paesaggio anche all’interno, e animando di fantasia
e realtà le linee di arredo e di architettura. La monumentalità degli interni
in questo modo viene avvicinata, messa in movimento, mescolando continuamente
il falso e il vero. Le pareti esplodono di vita, e questa si proietta fino al
centro del salone mettendo tutto in movimento. Porte dipinte si alternato a
porte vere, e dagli spiragli di alcune si vedono scorci di giardini o di altre
sale da cui escono ed entrano i personaggi più vari. Servitori, bambine,
musicisti, cacciatori e cani da caccia. Al piano superiore, che non esiste, si
svolgono feste sontuose e dai balconcini si affacciano dame e cavalieri, e
nell’aria volano uccelli variopinti ed esotici, alcuni dei quali si posano su
vere strutture architettoniche. O forse no, forse sono dipinte anch’esse. Tutta
la luce dei dipinti, la famosa luce del Veronese, viene frastagliata e fatta
ruotare ritmicamente riempiendo in modo squillante l’intero spazio,
interrompendosi in un punto per riprendere contemporaneamente in un altro con
un tono ed un accento diverso. Siamo di nuovo nel campo musicale. Sembra di assistere
ad un concerto. Anzi, sembra di parteciparvi, perché il visitatore che si trova
all’interno diventa una delle figure presenti, non importa sia vero o dipinto.
E’ uno dei musicisti che mette in vibrazione l’aria producendo suoni e colori.
Luogo di rarissimo equilibrio e ancor più raro incrocio di
genialità. Solitamente il genio è solitario e convive difficilmente con
genialità pari alle proprie, ed è davvero difficile che mettendo insieme due
geni si riesca davvero a produrre qualcosa di bello, equilibrato, che non sia
la somma o la contrapposizione di due genialità ma che ne sia compimento e
completamento. Villa Barbaro a Maser è probabilmente uno dei pochissimi luoghi
al mondo dove si è davvero realizzato un simile miracolo.
Andrea Palladio – Villa
Armerico detta “La Rotonda” - Vicenza
Andrea Palladio e Paolo Veronese – Villa Barbaro - Maser (Treviso)
Andrea Palladio e Paolo Veronese – Villa Barbaro - Maser (Treviso)
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