Van Gogh non giocava a dadi

di Alessandro Borgogno

Mi collego al post dedicato alle regole da infrangere laddove (fra le tante) dice una grande verità. E cioè che per poterle infrangere, ammesso che davvero di infrazione si tratti, occorre conoscerle. Conoscerle e studiarle.

È un discorso che voglio riprendere riferendomi a Van Gogh, artista sul quale si torna periodicamente vista la sua importanza capitale e anche la sua continua e apparentemente inarrestabile “modernità”.

Lo riprendo perché proprio Van Gogh passa spesso per essere un artista che ha infranto le regole, le ha stravolte, reinterpretate a suo piacimento secondo una visione propria e unica della realtà. Ed è vero.

È altrettanto vero però che non le ha stravolte a caso. Non ha scomposto la realtà in base a visioni astratte, suggerite magari dalla sua mente malata o dalla sua presunta visione distorta dei colori. 

Già, perché spesso accade anche questo: ciclicamente viene esposta da qualcuno una qualche teoria, quasi sempre di origine medica, che pretende di trovare una spiegazione “diagnostica” al suo modo di riportare la realtà sulla tela. Schizofrenia, daltonismo e molto altro ancora. Tutte cose magari clinicamente vere, ma che in realtà non spiegano nulla. È come se non volessimo ammettere che la sua capacità di vedere la realtà in modo diverso dagli altri non fosse dovuta ad una qualche dote estranea alla sua volontà ma, esattamente al contrario, fosse proprio il frutto di una osservazione rigorosa e attenta della realtà stessa. Talmente rigorosa e attenta da poterla riprodurre non solo nelle sue linee e nelle sue forme, ma anche nelle emozioni e nelle sensazioni che provocava.

Nel caso di Van Gogh (così come nel caso di Monet e delle sue ninfee) c’è però un modo assai diretto per constatare quanto in verità le loro opere siano aderenti alla realtà, molto più di quanto normalmente si pensi. Molti luoghi da lui dipinti infatti esistono ancora, e sono per molti aspetti assai simili a come erano all’epoca in cui vi si posarono “gli occhi blu profondo di Vincent”. 

La prova si può fare in particolare ad Arles, in Provenza, dove il pittore olandese visse uno dei suoi periodi più prolifici e più significativi, dipingendo angoli e scorci della cittadina e dei dintorni, trasformandoli in alcuni dei quadri più famosi della storia dell’arte. Guardando e attraversando i luoghi esatti riprodotti dall’artista saltano subito all’occhio (all’occhio attento, naturalmente) almeno due cose.

La prima è che Van Gogh si posizionava sempre in un punto ben preciso. Se si cerca la posizione esatta che corrisponde al quadro ci si accorge facilmente che il pittore deve aver provato e riprovato diversi punti di vista prima di scegliere quello definitivo dove piazzare il suo cavalletto. Lo si capisce bene, poiché il punto scelto non è mai il più immediato, mai il più comodo, mai il più banale.

La seconda è che Van Gogh non inventava un bel niente. In ogni suo quadro semmai aggiungeva. Aggiungeva colori per comunicare sensazioni, aggiungeva gesti e pennellate per rappresentare movimento e forze intangibili, ma non inventava né stravolgeva affatto la realtà. La coincidenza fra le scene reali e i quadri di Vincent è pressoché totale, in alcuni casi di un realismo impressionante. Nulla, ma davvero nulla, era lasciato al caso o all’improvvisazione. Le misure, le distanze, la prospettiva, gli elementi. Tutto coincide in modo esemplare.

Inutile quindi illudersi che Van Gogh dipingesse in quel modo perché era pazzo, o daltonico, o chissà cos’altro. Dipingeva in quel modo perché era un genio, certo, ma un genio che conosceva perfettamente tutte le regole della prospettiva e della composizione, le studiava e ristudiava, le provava e le riprovava. E cambiava continuamente il suo punto di vista finché non ne trovava uno che gli mostrasse la realtà in un modo nuovo, diverso. 

Non più fantasioso, ma più reale.

Nelle foto alcuni esempi “dimostrativi” (da notare che “la casa gialla” dove Vincent visse, purtroppo non c’è più e la possiamo vedere solo nel quadro, ma tutto il resto è talmente preciso che volendo la si potrebbe anche ricostruire prendendo la tela come progetto di riferimento).







E oltre alle foto può essere utile anche guardare questo video realizzato proprio ad Arles. Video che, oltre ad essere un gioco, vuole anche essere un modo per comunicare visivamente quanto si è qui cercato di descrivere a parole. 

(“Vincent nei luoghi di Vincent”: http://www.youtube.com/watch?v=17G8aDPA9vE)

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