martedì 22 dicembre 2015

Noi, le non-mamme di figli erranti

Ho cominciato a documentarmi sulle donne senza figli all'ennesimo pranzo con colleghi in cui si parlava solo di pargoli.

Con noncurante nonchalance qualcuno ha raccontato di avermi “citata come esempio” per il fatto che andavo in piscina alle 7.00 del mattino. Le donne presenti hanno immediatamente e senza appello sentenziato: “ma certo! non ha figli!”.

E se non hai figli non sei una normale, sei strana, per cui è normale che una tipa strana faccia cose strane, come andare piscina alle sette del mattino e non fare figli (c'è da dire che in acqua con me alle 7.00 del mattino c'erano sempre diverse madri, anche con figli molto piccoli).

Ma chi sono queste donne senza figli per scelta? Chi sono queste donne che dichiarano esplicitamente di non avere istinto materno? Queste donne per cui un figlio semplicemente non rientra nei loro piani, che asseriscono che la loro vita è piena e la relazione di coppia è soddisfacente così? Queste donne che non si preoccupano se non ci sarà nessuno a prendersi cura di loro quando saranno vecchie? Queste donne che non hanno alcun problema a sostenere che i loro interessi sono altri, che la loro realizzazione personale passa da esperienze diverse dalla maternità? Che non sentono il ticchettio dell’orologio biologico?

Eccomi qua. Sono una di quelle donne che (evidentemente) a causa di mutazione antropologica non si è riprodotta. Ci chiamano, ho scoperto, child-free - senza figli per scelta - e faccio parte, pare, di quel crescente gruppo di donne dedite alla carriera, che ricoprono incarichi di responsabilità e odiano i bambini…  

C’è anche chi lo spiega in termini evolutivi: è provato che in ogni gruppo sociale, dalle tribù in poi, circa un 15-20% della popolazione rimane senza figli, per varie ragioni, sterilità fisica o mancata predisposizione psicologica: è necessario che un certo numero di persone, libere dai doveri dell’accudimento, si dedichino completamente ad “altro”. 

Oppure potrebbe essere che non sono abbastanza empatica

Un genitore empatico pensa di sapere tutto di suo figlio perché è come lui, perché risuona in lui empaticamente. Il genitore (empatico) non lascia spazio alla differenza, frequenta quasi esclusivamente suoi simili in grado di comprendere il travaglio, la mancanza di tempo, la totale abnegazione, l’ansia, la stanchezza fisica ed emotiva, il senso di colpa, i rapporti (tutti) passati in secondo piano.

Ma  infine credo, senza timore di smentita almeno per quanto riguarda me stessa, che valga quanto dice Costanza Jesurum, aka beizauberei: “la parte importante che conduce a una genitorialità è il superamento e la risoluzione di alcune cose personali, il proprio rapporto con i genitori, e con la madre, il proprio modo di interpretarsi come persona adulta e capace di non essere più figlia cioè oggetto di attenzione dei grandi, ma genitrice, cioè soggetto che da attenzione ai piccoli”.

Poi arriva Natale e in una famiglia composta da mamma-figlio e padre-nuovacompagna l’organizzazione, nel caos delle feste, diventa fondamentale: la sera della vigilia padre-figlio stanno con i nonni paterni e mamma-compagna con nonne materne-nonni acquisiti. La mattina dopo, il 25, padre-figlio sveglia presto, consegna dei regali, riconsegna del figlio alla madre, pranzo dalla nonna-materna (il figlio) di corsa verso i nonni acquisiti (il padre) così che in tutto questo marasma c’è sempre qualcuno che può lamentarsi che non c’è la madre, il padre, il figlio, … 

Si fa sempre la conta di quelli che mancano ;-).

E loro? I figli erranti?  

Per fortuna vanno per la loro strada senza preoccuparsi troppo dei genitori empatici, dei ruoli, dei non-ruoli e dei tecnicamente: “tecnicamente non si può dire mio marito, non siamo sposati, tecnicamente non è tuo nipote, tecnicamente non è proprio lo stesso brodo quello che ha mangiato per tre giorni di seguito: a casa della nonna, della madre  e infine del padre. 

Dev'essere che è maschio - ho asserito, facendone scherzosamente una questione di genere - fosse stata femmina sarebbe stata la fine del mondo :-).

E allora auguri  alle mamme, a tutte quelle non e a quelli che a Natale ci sono sempre, anche se mai nel posto dove dovrebbero essere. 


Londra - Luminarie


Merry Christmas and Happy New Year!


Per approfondimenti:


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mercoledì 16 dicembre 2015

Cathedral of Commerce

Cose belle che accadono in questo Blog. Un amico, al ritorno da un viaggio di lavoro che dice: “durante le attese in aeroporto ho scritto questo. Solo qualche spunto…

Cose belle che accadono in questo Blog. Un amico, al ritorno da un viaggio di lavoro condivide quello che ogni viaggio porta con se: nuove esperienze, nuove storie, idee, connessioni, scoperte.



Las Vegas: tra realtà e finzione

Sono sempre molto numerose le prospettive da cui si possono vedere le cose che accadono, tanto da suggerire diverse definizioni di ciò che è reale e di ciò che non lo è. 

Lo sanno bene i maestri del cinema e le maestranze di un tempo di Cinecittà: con l'obiettivo di creare un posto vero per dare vita ad una rappresentazione finiscono per sottolineare gli elementi necessari affinché un luogo possa considerarsi reale, pur nella finzione.

Poi ci sono le discontinuità, i buchi neri del nostro pensare comune. Prendiamo Las Vegas

Las Vegas mette in scena non il tentativo di rappresentare qualcosa di diverso, ma di viverlo. Un posto dove l'eccentrico è normale e l'ordinario non esiste. Difficile anche da raccontare. E mentre il mondo piange i propri morti (nelle capitali europee, nelle aree mediorientali, in Africa, …) a Las Vegas lo spettacolo prosegue incurante di tutto e di tutti. 

Entrare e uscire da realtà così diverse fa pensare. 

Fa pensare che la vita non può essere un perenne spettacolo di luci sfavillanti e che Las Vegas sia in realtà un manicomio di esibizionisti. Ma è una conclusione fin troppo facile. 
Fa pensare, quasi con fastidio, a quanto siano lontane da questo deserto le battaglie per non dimenticare e combattere i soprusi sulle donne. Qui, nel Nevada,  il corpo femminile è solo un strumento come un altro per far soldi. Considerato tale dalle donne stesse. Ricevere le pubblicità delle prostitute mentre si passeggia è una cosa normale a Las Vegas. Ma le figurine, a mazzetti da 5-6, con le signorine poppute non te le offre un ragazzo, un uomo, te le offre una signora con indosso una T-shirt rossa con il disegno di una fanciulla in posa inequivocabile. La signora non è alta, appesantita nel fisico, gentile. Lavora. Fa pubblicità sulla Strip. E offre le sue figurine non solo a uomini soli che passeggiano ma anche a coppie. Scambieresti la signora per una qualsiasi madre di famiglia. Anzi te la immagini che dopo aver preparato il pranzo annuncia ai figli, al marito che esce per andare a lavorare. 

Realtà o finzione?

Poi i casinò. 

Noi europei abbiamo un’idea romantica dei casinò. Immaginiamo luoghi eleganti dove si va vestiti adeguatamente per dedicarsi al brivido del gioco, al rischio di una vita, al tutto o al niente. Luoghi dove i più timorosi entrano con curiosità e prudenza. 
Niente di tutto questo. I casinò si trovano oggi nei mega alberghi, tra la reception e le stanze. All'arrivo sfili con il trolley attraverso distese infinite di slot e con i croupier sempre pronti vicino ai tavoli, anche senza clienti, o con uno o due giocatori concentrati. A tutte le ore. Giorno e notte. Poi ci sono i tavoli con gruppi di persone vocianti che sembrano divertirsi. C'è ancora la signorina seminuda con la cassettina di legno che vende le sigarette, ci sono quelle ammiccanti che sembrano chiederti un drink e non solo... Un circo aperto a tutte le ore. 



Realtà o finzione?

La realtà di Las Vegas "consuma" persone ma anche energie. A dispetto di tutto. Visto dal cosmo questo pianeta azzurro deve apparire come un posto incomprensibile: come spiegare il logoramento di materie prime, di acqua, luce, moquette, lusso in una città creata dal niente nel mezzo del deserto quando contemporaneamente 800 milioni di persone non hanno l'acqua per lavarsi o 1,3  miliardi di persone non hanno l'elettricità?

F.S.


Il titolo è di un dipinto dell’artista canadese Rob Gonsalves 
Le foto sono di Alessandro Borgogno


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mercoledì 9 dicembre 2015

Il mondo invisibile

Parigi, 5 dicembre 2015

La giornata è cominciata con un imprevisto all’Opéra che ci ha fatto ripiegare su una visita al Musée Rodin. 

Nel pomeriggio, immersi in quella flânerie di cui sembrava animato il nostro soggiorno, proseguendo dal Quai D’Orsay fino ai vicoli del Quartier Latin siamo arrivati, che faceva quasi buio, a Saint-Germain-des-Prés.

Entriamo nella chiesa silenziosa lasciando fuori gli odori dolciastri provenienti dalle bancarelle natalizie del Boulevard Saint-Germain. C'è una leggera brezza.

Percorriamo senza parlare la navata centrale contornata da pilastri con semicolonne policrome, attratti dalle volte a crociera e dal cielo stellato, poi ci separiamo.

Continuo da sola lungo le navate laterali e improvvisamente compare Franck

Se ne sta seduto dando la schiena al muro, le mani incrociate con i pollici che si baciano, guarda l’obiettivo con un sorriso appena accennato. 

“Celibe, dolce, gentile, nato in Bosnia. 51 anni. 
Cacciato dal suo appartamento per via degli allagamenti e dei vapori tossici. Ha lavorato da Henri Maire, come rappresentante. Ama molto la cultura e la musica classica. Appassionato d’ecologia, come i suoi nonni”.


Parigi - Saint-Germain-des-Prés





Franck è uno dei tanti invisibili di questa città. Uno di quelli che fanno arricciare il naso per il cattivo odore, se capita nella stessa carrozza della metropolitana su cui si sta viaggiando. 

Uno di quelli addormentati in giacigli di fortuna negli antri di portoni chiusi, in posizione fetale se fa molto freddo, uno di quelli che superi velocemente cercando, con la coda dell’occhio, una bottiglia vuota o qualsiasi altra testimonianza di quel vizio che giustifica la sua condizione e la nostra indifferenza.

Invisibile, finché qualcuno non fa una cosa molto semplice: toglie la presenza fisica che ti fa distogliere lo sguardo, i vestiti logori, le povere cose raccolte in contenitori di fortuna, gli animali che talvolta lo accompagnano. Toglie l’odore. Smorza il disagio. 

Affida la voce alla parola scritta e racconta la sua storia attraverso le immagini

Non solo. Chiede a  Franck e a quelli come lui di partecipare ad un concorso che ha come tema l’Ecologia nella mia Città e costringe noi, finalmente liberi di guardare, ad aprire gli occhi per la seconda volta.

Quel qualcuno è Elisabeth Tiberghien, Cavaliere della Legion D’onore e Presidente dell’associazione Deuxième marche che si occupa delle persone senza fissa dimora e li aiuta nel reinserimento nel mondo del lavoro. La incontro brevemente il giorno dopo, durante il vernissage che inaugura l’esposizione L’écologie dans ma ville. Prima di lasciarci mi porge sorridendo una cartolina con la poesia di Philippe, uno dei figliocci dell’associazione.

[…] C’est maintenant le Temps
de l’exil où nos yeux calcinés
ne regardent plus les cieux,
où nos crâne éclatés se fracassent
contre les murs de le déraison. […]

Esco da Saint-Germain-des-Prés ripensando al fastidio provato qualche ora prima nel vedere tanti flash al Bataclan o in Place de La République e mi chiedo con quale presunzione considero più sincero il cordoglio di quelli che invece non scattano foto. 

Se un fotogramma ha permesso a me di “vederecome faccio ad essere certa che le immagini che ogni giorno facciamo viaggiare da un capo all'altro del mondo non siano tanti messaggi in bottiglia? Come faccio a sapere quali raggiungeranno la propria destinazione permettendo a qualcun altro, chissà dove, chissà quando, di aprire gli occhi e tornare a guardare il cielo?

Il mendicante seduto sulle scale d’ingresso è ancora lì quando esco.  Ha un piccolo libro, legge. Non chiede nulla.

Parigi - Saint-Germain-des-PrésParigi - Saint-Germain-des-Prés

Le foto sono di Franck, Bossu de Notre Dame e Stéphane Baratay.

Il quadro del titolo è  “Le monde invisible” di René Magritte.



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mercoledì 2 dicembre 2015

Senza titolo

Un anno fa, più o meno di questi tempi, raccontavo in questo post di donne e di coraggio.

È passato un anno, molte cose sono state scritte in queste pagine, molte cose sono successe e alcune, a partire da queste poche righe settimanali, hanno preso una loro strada.

Dicevo dunque, un anno fa, di donne e di coraggio e questa storia ricomincia proprio da quell'intimo e recondito angolo di me stessa che ne riconosce alcune come sorelle.

Voglio parlarvi dunque di donne e, stavolta, di passione.

Voglio dirvi di una donna capace di “reinventare” con la sua passione per l’insegnamento la storia dell’arte, partendo da una lavagna elettronica interattiva e dalle nuove opportunità offerte dalle tecnologie social: Pinterest, Facebook, Blog, Google+, Twitter, …

Sembra facile vero? 

Provo a immaginarne i retroscena: un ambiente scolastico conservatore e omologato, regole ferree talvolta prive di buon senso, precarietà, una materia relegata al tavolo da disegno, ragazzi e territori difficili. 

A cosa o a chi avrà pensato nelle notti insonni? Al visionario Durand-Ruel che finì più volte in bancarotta  per sostenere, con i suoi acquisti, il nascente mercato impressionista? A Modigliani che urlava a Jeanne Hebuterne: “Io vedo cose che nessun altro vede”? 

E poi? Quando si è resa conto che le storie che raccontava nel suo Blog interessavano centinaia di migliaia di persone? 

Contribuire alla diffusione e divulgazione della storia dell’arte nel mondo ripaga da qualunque frustrazione? Ma il tourbillon dei followers non è spaventoso ogni tanto? La sfiora mai il sospetto di trascurare gli affetti o che la passione possa diventare ossessione: la  stessa abnegazione che spinge l’atleta ad eccellere non è la stessa che mette a rischio la sua vita o che potrebbe condannarlo a menomazioni permanenti? Si sveglia mai di soprassalto, con la sensazione della stanza inondata da un gigantesco e soffocante materasso in lattice che impedisce di respirare? È forse paura quella che sente nel petto?

Siate curiosi, dice ai suoi studenti.

Lo siamo un po’ anche noi e proviamo a farci domande: per comprendere l’arte ma soprattutto per comprendere quelli, fossero Durand-Ruel o Leonardo, che all'arte hanno dedicato, con passione, la propria vita.
Emanuela Pulvirenti
Emanuela Pulvirenti

P.S: Frida Kahlo, Georgia O’Keeffe, Artesmisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola, Camille Claudel.

Cinque

Per restare in tema: è il numero esiguo di donne nell'arte che durante un pranzo di lavoro, in quattro e con cultura universitaria, riuscimmo a mettere in fila. 
Ma si sa, le chiacchiere davanti a una pizza prediligono il modello televisivo, curvilineo e siliconato ;-).

Dimenticavo: perché “senza titolo”? 

È presto detto. Durante il workshop “Degli specchi e dei riflessi” narrato a Finestre sul cortile, il lunghissimo titolo di una delle opere presentate mi ha dato l’idea di provare a fare questo gioco: darò ai prossimi cinque post il titolo di un’opera d’arte, cercandone uno adatto dopo averlo scritto e chissà che rovistando, non incappi in qualche bella sorpresa. 

Il primo però non poteva che essere un non-titolo ;-).

Stay tuned! :-)
Questo post è pubblicato anche su La Stampa 
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